Nel giorno in cui il calcio all'anno zero ha ferito a
morte quel po' di dignità che gli era rimasta, dando diritto di
parola alla maglietta di Genny O' Carogna, chi aveva in mano i
calendari della serie A non ha trovato un posticipo o un anticipo per
dare la possibilità al Toro di partecipare alle celebrazioni in
memoria del Grande Torino, schiantato a Superga il 4 maggio di 65 anni
fa.
Il calcio, che ha fatto del dio
quattrino l'unico suo orizzonte possibile, non ha tempo da sprecare
in commemorazioni. Non sa più chi sono BacigalupoBallarinMaroso. E
infatti il 4 maggio è diventato nelle curve, come l'Heysel, il luogo
di un insulto infame, da spendere su uno striscione. Come le belve
onnivore di Vittorio Sereni, gli ultras si mangiano cuore e memoria,
e si infilano se non in un night, come scriveva Sereni, in una curva
che è ormai un buco nero di ignoranza, almeno.
Tante altre volte di
delinquenza, di cieca violenza, in cui annegare il vuoto a perdere
della civiltà.
E i dirigenti del pallone che, ogni
volta, spendono proclami e parole di circostanza, “mai più” che
cadono nel vuoto con un tonfo metallico, hanno la memoria corta pure
loro.
Quando c'è da prendere la decisione piccola piccola di
spostare un posticipo per fermarsi un attimo a chiedersi da dove si
viene e dove si va dicono di no. Come se non fossero l'ignoranza e
l'assenza di radici l'abisso più profondo.
In compenso a ricordare il Torino pochi
giorni fa c'erano a Superga i giocatori del Benfica, l'ultimo
avversario del Grande Torino. Loro sì, per non dimenticare.