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sabato 14 settembre 2024
 
Dopo il referendum
 

Grecia: l'Italia rischia poco

06/07/2015  Un'eventuale "Grexit", cioè l'uscita della Grecia dalla moneta unica, costerebbe a ogni italiano mille euro. In realtà, spiega il professor Luciano Monti, docente di Politica Economica Europea alla Luiss, al massimo si potrebbe parlare di circa un sesto di quella somma, cioè meno di 200 euro a testa. Ma i soldi che noi italiani abbiamo "prestato" alla Grecia sono stati erogati tra il 2010 e il 2011, quando anche il nostro Paese era sull’orlo del baratro: «Siamo stati troppo generosi o dovevamo aiutare qualcuno?».

«È diventato sempre più difficile vedere una strada che non porti ad una Grexit. E anche se è ancora una cosa che pochi vogliono accettare, è sempre più ovvio che una Grexit è la migliore speranza della Grecia». Non è un commentatore qualsiasi ad affermarlo, ma Paul Krugman, premio Nobel per l'Economia, direttamente sul New York Times, il quotidiano più famoso al mondo. Krugman mette in evidenza come senza una Grexit è difficile prevedere da dove possa arrivare la crescita per la Grecia. Anche con una ristrutturazione del debito, infatti, la Grecia sarà costretta a importanti surplus primari strutturali e questo la costringerebbe ad un'economia in depressione per un futuro prevedibile. Di questo e delle eventuali conseguenze pratiche di un'uscita della Grecia dall'euro sul nostro Paese abbiamo parlato con Luciano Monti, professore di Politica Economica Europea all'Università Luiss di Roma.

Luciano Monti, docente di Politica Economica Europea alla Luiss.
Luciano Monti, docente di Politica Economica Europea alla Luiss.

Professore, adesso a breve si riapriranno le trattative con i creditori della Grecia, alle quali il Governo Tsipras pensa di sedersi al tavolo con più forza contrattuale per un ristrutturazione del debito. Secondo lei, se falliranno anche questi nuovi negoziati post-referendum, la Grecia semplicemente non pagherà i propri debiti? E' realistico che tutti i creditori della Grecia perdano completamente i fondi che hanno prestato?
«La risposta è no ad entrambe le domande per due motivi, uno rilevante nel breve e uno nel più lungo termine. Come noto e a prescindere dall’esito del referendum, la Grecia attualmente non è in default ma semplicemente inadempiente ad una scadenza del Fondo Monetario Internazionale. Dichiararla in default significherebbe come ritenere fallita una azienda che non ha pagato una rata del canone del proprio capannone. La Grecia è in difficoltà di liquidità anche per il concentrarsi delle scadenze con i vari creditori proprio in quest’anno. Nel periodo più lungo la Grecia non può permettersi di rimanere inadempiente su più fronti, in quanto questo impedirebbe al suo governo e alle sue banche di fare nuovamente ricorso ai mercati finanziati internazionali. Ecco perché Tsipras si batte per una ristrutturazione del debito e uno spostamento delle scadenze in maturazione».

A parte la cosiddetta Troika, chi tra i Paesi singoli è più esposto con la Grecia?
«In realtà, solo tecnicamente i creditori internazionali multilaterali (Fondi Europei, Fondo Monetario Internazionale e BCE) sono esposti. Nella sostanza, poiché questi fondi a loro volta sono costituiti da Stati, sono questi ultimi ad essere in ultima analisi esposti. Con questa premessa i principali creditori in ordine di importanza sono la Germania, seguita da Francia e dall’Italia».

L'Italia, che a sua volta non è attualmente tra i Paesi europei più forti, in che situazione si trova? Quanti soldi noi abbiamo "prestato" alla Grecia e dovremmo avere indietro?
«Sui numeri della nostra esposizione sono circolati importi tra loro differenti e questo non deriva da imprecisione ma, come detto nella precedente risposta, dal fatto se si voglia o meno considerare come esposizione anche quella indirettamente assunta con la partecipazione ai grandi fondi multilaterali (BCE, FMI e Fondo Salva Stati Europeo, Meccanismo Europeo di Stabilità e Fondo per la liquidità di emergenza). Considerando tutto il perimetro citato, l’esposizione totale del nostro Paese ammonta a 65 miliardi (come si può vedere nel grafico sopra il titolo), ai quali vanno aggiunti circa 800 milioni di euro di crediti detenuti dalle nostre banche».

E' vero come ripete da giorni il nostro ministro Padoan che l'Italia non rischia nulla da un'eventuale insolvenza da parte della Grecia. E se l'Italia dovesse perdere tutti i 65,5 miliardi di euro che ha erogato, questo avrebbe delle conseguenze tangibili sulle nostre vite o in realtà non ce ne accorgeremmo neppure?
«I livelli di rischio delle varie partite esposte nel grafico sono tra loro molto differenti. Come ha precisato il Ministro Padoan, non bisogna realmente e realisticamente considerare a rischio immediato i fondi prestati agli organismi internazionali sopracitati, in quanto per essi vale una sorta di responsabilità solidale e dunque, l’eventuale perdita di dette somme sarebbero ripartite tra tutti i suoi aderenti e solo nel caso in cui il Fondo non fosse in grado di onorare le obbligazioni emesse. Diversa è la questione relativa ai prestiti bilaterali, cioè quelli erogati direttamente dall’Italia alla Grecia che, stando ai dati forniti dal Ministero dell’Economia e delle Finanze ammontano a 10,2 miliardi di euro. Una cifra ben diversa da quelle sopra menzionate, ma pur sempre uguale a quella impegnata per il bonus degli 80 euro. Anche qui, tuttavia, non credo si arrivi ad un mancato e totale pagamento della sommo. Il rischio di una svalutazione, alla luce delle ultime vicende è elevato ma verrebbe spalmato su più annualità e comunque parziale. Io invece una riflessione la farei: questi soldi sono stati erogati tra il 2010 e il 2011, quando anche il nostro paese era sull’orlo del baratro. I conti non tornano dunque. Siamo stati troppo generosi o dovevamo aiutare qualcuno?».

Si è parlato che la Grexit costerebbe a ogni italiano 1000 euro. E' plausibile? E come li perderemmo questi mille euro? In modo concreto, in che cosa? Con più tasse? Con aumenti dell'Iva? Con aumenti dell'Imu? 
«Questa affermazione deriva dalla semplicistica divisione dei menzionati 65 miliardi di “esposizione” per il numero dei cittadini italiani. Ma credo di aver spiegato prima che non è così e che al massimo si potrebbe parlare di un sesto di quella somma, cioè meno di 200 euro a testa. Il costo di Grexit è ben altro e attiene alla perdita di fiducia del mercato sulla irreversibilità dell’Euro e sulla probabile speculazione sui paesi più deboli del’Europa, come il nostro paese appunto. Questo potrebbe generare, giusto per dirne una, un innalzamento dello spread sui nostri Buoni del Tesoro, con oneri elevati per lo Stato. Si parla in proposito di 5 miliardi di euro in più se i rendimenti aumentassero permanentemente di 2 punti».

Ultima domanda, professore: di là dalle retoriche di tipo europeistico, alla Grecia conviene poi così tanto rimanere nell'euro? Che il suo debito rimanga com'è o sia ristrutturato, stando nella moneta unica non si consegna a un futuro di povertà e declino per un'austerity comunque fortissima? Non rimarrebbe comunque "strangolata"?
«A mio parere alla Grecia non è convenuto entrare nell’Euro e dunque ora credo le convenga uscirne, senza con questo, ovviamente, mettere in discussione la sua permanenza nell’Unione Europea. Ma il problema non è tanto l’euro (il Montenegro, che non è nell’Unione, lo ha adottato come moneta di riferimento), ma il negoziato con i creditori, comunque e per il bene di tutti deve arrivare ad una soluzione nel più breve tempo possibile. Pena la perdita di credibilità del progetto Europeo e la deriva di una fetta rilevante di cittadini greci, spinti sotto la soglia di povertà per troppo tempo».

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