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lunedì 09 settembre 2024
 
STORIA E FEDE
 

Grecia, le celebrazioni per l'indipendenza fanno tappa a Torino

31/03/2021  Nella parrocchia della Natività di san Giovanni Battista, in pieno centro, cui fa riferimento la comunità greco-ortodossa (circa 700 persone, in tutto) il grazie al Signore per l'uscita di Atene dall'Impero ottomano e il suo ritorno in Europa, un processo cominciato nel 1821, due secoli fa, con la partecipazione (anche) di alcuni patrioti piemontesi come il Santorre di Santarosa, che morì combattendo a Sfacteria, nel Peloponneso

Liturgia ortodossa e canto bizantino nel cuore di Torino, per ricordare, a due secoli di distanza, l’inizio della guerra di indipendenza greca. Era infatti il 1821 quando divamparono, in tutto il Paese, i moti insurrezionali che portarono, dopo undici anni di azioni belliche, all’affrancamento dall’Impero ottomano e alla nascita dello Stato ellenico. Pochi sanno che a quella guerra diedero il loro contributo anche alcuni piemontesi, come il conte Santorre di Santarosa, convinto sostenitore della causa greca, che perse la vita in combattimento nell’isola di Sfacteria. Un nome, il suo, fortemente legato anche alle vicende del risorgimento italiano. C’è un filo, dunque, che corre sulle orme della storia, ma soprattutto c’è una comunità, quella greca, che conta in Piemonte circa 700 persone e che si è data appuntamento per onorare la propria storia nazionale. La presenza ellenica in terra subalpina ha radici antichissime, che rimontano al VI secolo, ai tempi dei domini bizantini. L’attuale comunità però è il risultato di migrazioni recenti: è composta da persone arrivate dopo la Seconda guerra mondiale (spesso perché coniugi di Italiani rimpatriati) e da studenti giunti negli anni ’60 e ’70.

La celebrazione si è svolta in una data simbolo, il 25 marzo, festa dell’annunciazione di Maria, particolarmente cara alle Chiese orientali, ed è stata officiata nell’omonima chiesa presso la parrocchia greco-ortodossa della Natività di San Giovanni Battista, in pieno centro a Torino. È iniziata, la sera del 24, con un vespro solenne. Poi è proseguita nella giornata successiva con il Mattutino, le Lodi e la Messa. Durante il culto sono risuonate le note del canto bizantino, le cui origini risalgono al VII secolo e che è una tra le forme musicali più antiche giunte fino a noi: affascinante ed austero, sembra quasi dilatare lo spazio e sottrarsi al tempo. Da notare che presso la parrocchia torinese ha sede una tra le rare scuole di canto bizantino in Italia. La giornata si è chiusa con inni di ringraziamento e con la preghiera dossologica (corrispondente al Te Deum della liturgia cattolica). Una celebrazione religiosa, ma anche una festa civile, che ha previsto, tra l’altro, la lettura del messaggio alle comunità greche all’estero, scritto per l’occasione dalla presidente della repubblica Katerina Sakellaropoulou.

«Oggi la Grecia rappresenta, per l’Europa la grande memoria» sottolinea il protopresbitero Iossìf Restagno, rettore della parrocchia greco-ortodossa della Natività di san Giovanni Battista. «È stata, in ogni tempo, un modello, dall’epoca romana all’umanesimo italiano, fino al romanticismo tedesco. La memoria ha sempre a che fare con l’identità. Senza memoria ci ammaliamo di amnesia». Ma il mondo ellenico è anche alle radici del cristianesimo: «I Vangeli sono stati scritti in greco e tutte le parole fondative della nostra fede, a cominciare da ‘Chiesa’ ed ‘eucarestia’ sono di origine ellenica. Senza il greco, non potremmo esprimerci, come cristiani».

Il protopresbitero Iossìf Restagno, 53 anni, torinese, sacerdote greco-ortodosso.
Il protopresbitero Iossìf Restagno, 53 anni, torinese, sacerdote greco-ortodosso.

Ecco allora la bellezza di una celebrazione capace di aprire uno spiraglio non solo sulla comunità greca, ma, più in generale, sull’intera Chiesa ortodossa, la seconda più rappresentata in Italia, con i suoi due milioni di fedeli. La Sacra Arcidiocesi Ortodossa di Italia e Malta, legata al patriarcato di Costantinopoli, è attualmente retta dal metropolita Polykarpos, eletto a gennaio 2021. Dal 2012, un protocollo firmato con lo Stato italiano, assicura ufficialmente la presenza del clero ortodosso in luoghi importanti della vita pubblica, come ospedali, carceri, scuole e caserme.   

«Qui le porte sono aperte a fedeli di diverse provenienze» tiene a precisare padre Restagno, torinese, 53 anni, avvicinatosi alla Chiesa ortodossa dopo un lungo e intenso cammino di ricerca, passato anche per un’esperienza sul monte Athos. «Siamo un unico gregge. I patriarcati nazionali sono semplici giurisdizioni amministrative, che non inficiano l’unità teologica. Purtroppo c’è ancora chi, invece, guarda al mondo ortodosso come a una serie di Chiese nazionali». Ma come vive un parroco ortodosso in un Paese a maggioranza cattolica? «Il mio compito in questo territorio consiste nel tenere insieme la comunità (il che ovviamente vuol anche dire offrire un aiuto alle persone più fragili), nel dare testimonianza delle nostre tradizioni teologiche e liturgiche a chiunque le voglia conoscere e nel tenere i rapporti con la Chiesa cattolica». Rapporti che «in generale sono ottimi. Spesso ci sono situazioni di famiglie “miste”, composte, cioè, da un coniuge ortodosso e uno cattolico. Cerchiamo di accompagnarle nella crescita spirituale e morale, nel rispetto dell’identità di ciascuno e della libertà individuale. Da notare anche che in più occasioni la Chiesa cattolica ci ha messo a disposizione spazi per il culto».

Si legge in controluce un prezioso percorso ecumenico, intensificatosi recentemente, anche ai vertici delle rispettive Chiese. «C’è una commissione teologica che, da anni, ha intrapreso un cammino comune» sottolinea il protopresbitero. «I tempi della riflessione sono lunghi, com’è giusto che sia. Ma c’è volontà positiva da entrambe le parti. Inoltre le due Chiese sono impegnate insieme di fronte ai grandi temi che interrogano la comunità internazionale nel nostro tempo. Temi quali la pace, la giustizia sociale, il ruolo delle religioni come memoria feconda e inalienabile». Il cammino si nutre anche di incontri personali e di gesti dal forte valore simbolico. Il Patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo, e papa Francesco si sono incontrati diverse volte dall’inizio del pontificato di Bergoglio, rivelando amicizia e profonda sintonia. Uno dei tanti segni è l’enciclica Laudato si', dedicata alla cura del creato, nella quale il Pontefice recepisce e fa proprie anche una serie di riflessioni maturate in seno alla Chiesa ortodossa.      

 

 

 
 
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