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martedì 22 aprile 2025
 
Il Teologo
 

Il "Greenwashing" è peccato?

17/05/2023 

Ho sentito parlare da qualche parte di greenwashing. Mi domando se possa essere considerato un peccato, dato che non ne ho mai sentito parlare al Catechismo. E se sì: come possiamo classificarlo?

ROBERTA

Il greenwashing è una strategia di marketing tramite cui le aziende comunicano un’immagine falsata di sé circa il proprio impegno per l’ambiente, ingannando i consumatori. È stato anche stilato un elenco di “sette peccati capitali” (evidentemente da intendere in modo analogico), ovvero di modalità con cui il greenwashing può esprimersi: omessa informazione, mancanza di prove, vaghezza, false etichette, irrilevanza, minore tra due mali, falsità.

Un inganno da parte dei commercianti a discapito del consumatore non è certo un tema nuovo: basti pensare al capitolo 8 del Libro del profeta Amos. Riecheggia anche il monito di Gesù circa l’atteggiamento degli ipocriti, paragonati ai sepolcri imbiancati (Matteo 23,27). Per quanto non appaia nella riflessione tradizionale, il greenwashing può essere considerato una disobbedienza alla vocazione umana di “custodire e curare” la terra (cfr. Genesi 1,25), ma soprattutto è – a tutti gli effetti – un peccato che contraddice l’ottavo comandamento: “Non dire falsa testimonianza”, cioè quella Parola che ci invita a una grande attenzione all’uso delle parole e alla verità, a rapporti sinceri e veraci con gli altri.

Questa domanda ci consente due puntualizzazioni sul peccato. Innanzitutto, non è sufficiente cercare un elenco di norme e/o peccati nella Bibbia, da applicare (o evitare) “alla lettera”: piuttosto ci è richiesto un serio esercizio di ermeneutica della Parola e della Tradizione, nonché dei “segni dei tempi”, per interpretare il “bene” e il “male” nel nostro quotidiano. Una lettura fondamentalista della Scrittura e della Tradizione è l’antitesi di una sincera fedeltà alla Via, alla Verità e alla Vita. Oltre a ciò: il greenwashing è chiaramente un peccato strutturale, ovvero una situazione di male morale in cui è impossibile attribuire la responsabilità a un singolo soggetto. Al contrario: vi si intrecciano le differenti (cor)responsabilità, ma in misura differente.

L’effetto delle strutture di peccato è duplice: da una parte limitano il vivere personale, dall’altra mediano logiche di tentazione al male. E le strutture di peccato ricordano come non si possa interpretare il “male” né in un’ottica di personalismo solipsistico né in un’ottica di collettivismo impersonale. Ecco allora che anche chi non è direttamente responsabile del greenwashing deve stare attento a non cadere nella trappola della connivenza (attiva e passiva), che da una parte è peccato personale e dall’altro nutrimento per la struttura stessa. La risposta alle strutture di peccato (qualsiasi essa sia) non può essere, pertanto, sporadica, lasciata ai singoli, improvvisata. Va strutturata essa stessa in un intreccio di (cor)responsabilità che sappiano aprire processi di discernimento, consapevolezza, liberazione... In tal senso anche la conversione e il bene richiedono una strutturazione.

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