C’è qualcosa di plasticamente inquietante nel tono in cui Beppe Grillo liquida sul suo blog la questione dissidenti. “Dobbiamo vincere le elezioni europee e le vinceremo”, scrive. Il leader maximo va veloce. E usa parole di pietra. Vincere… e vinceremo, “frase calco” di altri ventenni. Stavolta, però, si va oltre. Da sempre per il leader 5stelle, il “bivacco per i miei manipoli” non è più Montecitorio ma il Web. E’ su Internet che si sta consumando la prima lacerazione nella storia del movimento. È in rete che i quattro reprobi postano i video a loro difesa. Soprattutto, è nello spazio “democraticamente aperto” del Web che si emettono anatemi e si compiono mattanze mediatiche. «Voterò sì per l'espulsione» scrive per esempio il deputato M5s Alessandro Di Battista. Che avanza un sospetto, antico come Giuda: “Andate sul sito "tirendiconto.it" e date un'occhiata alle restituzioni di tutti quanti. Se io volessi tenermi più soldi di quelli che mi spettano io non avrei dubbi, inizierei a criticare il gruppo, l'assemblea e Grillo. Mi trasformerei in dissidente”. Altro che diverso parere. E’ tutta questione di soldi.
Troppo facile liquidare così la faccenda. Perché in ballo c’è altro. Una vera “torsione” dell’idea stessa di democrazia. Indubbiamente la rete è per definizione una struttura democratica, nel senso etimologico del termine. E’ orizzontale, paritaria, anarchica e indocile. Non vi è chi controlli, né censuri, né moderi. Il punto è che i Grillini hanno fatto di tutto ciò una “narrazione”, l’hanno elevata a retorica, l’hanno plasmata su di loro quasi vantandone un’esclusiva. La rete taglia le mediazioni e va dritta al cuore delle decisioni. E’ lo strumento di una inedita democrazia ateniese dell’era tech, che si ciba di primarie e quirinarie (di infimi numeri per’altro). Una testa un voto, e punto.
Peccato che tra Pericle e Grillo ci siano circa 2500 anni. E che oggi tutto è possibile tranne che procedere alla “ateniese”. Nella sua furia iconoclasta esibita come vessillo, Grillo probabilmente non conosce il senso della parola “poliarchia”, alla lettera “molti poteri”, copyright di Robert Dahl, scienziato della politica, autore di capolavori della disciplina (su tutti Prefazione a una teoria democratica, anno 1954) e per decenni docente ad Harvard. Per Dahl, morto nemmeno un mese fa, le democrazie moderne sono caratterizzate da un pulviscolo di poteri in concorrenza tra loro, una galassia in cui è difficile discernere un centro. Poteri in sospensione, a volte antagonisti, altre volte solidali, spesso in frizione. Le società moderne, dice in sostanza Dahl, sono complesse perché molti sono gli interessi da mediare, da comporre, a cui dare rappresentanza e possibilmente soluzione. La politica, che è calco della società, non può che essere cosa complessa. A noi pare concetto lampante, indiscutibile. E ci sembra proprio il contrario dell’idea di democrazia radicale, di massa e plebiscitaria di cui i grillini si sono fatti in questi anni portatori.
Per i fautori di questa utopia fuori tempo il potere è uno solo, la realtà è bianca o nera, gli uomini si dividono in corrotti e puliti, gli aderenti a un partito in fedeli e traditori. Così facendo Grillo ha spostato il fuoco del discorso della sua politica dal risultato al processo. Quel che importa è il meccanismo con cui si decide, non quel che si decide. E’ quanto è andato in streaming prima tra i pentastellati e Bersani e poi con Renzi. Nessun intento di ascoltare, né risolvere, ma una critica radicale al metodo usato dall’interlocutore, fatto di mediazione, dunque politico per antonomasia. I Grillini si ritengono depositari del giusto metodo, ma si disinteressano del risultato. Votano per alzata di mano ma non sanno per quale causa. Una testa e un voto, il resto, cioè il quid, è problema d’altri. Nell’era del web grillino la democrazia diretta si rivela insomma un cielo disperatamente vuoto. E quella di Grillo è l’irresistibile leggerezza della politica. Di massa ma priva di scopi. Pura retorica.