A Carlotta Guareschi, la “Pasionaria”, avrebbero senz’altro dato gioia le parole pronunciate da Papa Francesco a Firenze. Quella citazione di don Camillo, il personaggio più famoso uscito dalla penna di suo padre, portati ad esempio di una Chiesa evangelica, umile, accogliente e felice, l’avrebbe ripagata del suo impegno, più che trentennale, condiviso col fratello Alberto, volto a tenere viva la memoria di un grande scrittore e poeta, purtroppo pressoché ignorato dalla critica ufficiale e guardato con sospetto da molti difensori dell’ortodossia.
Carlotta è morta il 25 ottobre scorso a Roncole Verdi, dove insieme al fratello custodiva l’archivio Guareschi nell’ex ristorante di famiglia, proprio di fianco alla casa natale di Verdi. Nel cuore di quel Mondo Piccolo che è soprattutto un luogo dell’anima, cui lo scrittore dedicò oltre 300 racconti più le sceneggiature, scritte di suo pugno, per la versione cinematografica ambientata a Brescello e interpretata dal duo Cervi Fernandel, che ne decretò il successo mondiale.
Papa Bergoglio non è stato il primo a riconoscere la profondità evangelica dell’ispirazione di Guareschi, anche se il suo stile diretto e l’ufficialità della circostanza in cui il riconoscimento è avvenuto ne hanno, a pieno titolo, ampliato la portata.
Prima di lui era arrivata la citazione di Papa Benedetto nel libro intervista “Luce del Mondo” e prima ancora, nel ’99, l’allora arcivescovo di Bologna, cardinale Giacomo Biffi, aveva parlato di un “Peppone teologo”.
Un’altra di quelle intuizioni lucidissime di cui, da letterato e intellettuale libero e senza spocchia, aveva dato prova l’autore di “Contro Mastro Ciliegia”.
Biffi, da sempre affascinato da Collodi e dal suo capolavoro, che consigliava di leggere come una sorta di catechismo, amava anche i personaggi di Guareschi, arrivando a riconoscerne lo spessore teologico.
“Ma Peppone era un teologo”, scrive il cardinale nel suo commento all’interno del saggio “Il Vangelo dei semplici” (Edizioni Ancora”).
E a prova della sua tesi cita esempi precisi, dimostrando di conoscere molto bene il sindaco rosso interpretato magistralmente da Gino Cervi. A un certo punto Peppone vuole cancellare dal vocabolario tutte le parole superflue, che non fanno altro che confondere la povera gente. “Al momento egli non ci pensa, ma in fondo il suo è lo stesso parere di Gesù Cristo che ha detto: "Sia il vostro parlare sì , sì ; no, no; il di più viene dal maligno", scrive il cardinale. Ma soprattutto Peppone “parla di Dio come parla dei compagni coi quali ha quotidianamente a che fare: vale a dire, prende sul serio Dio come una persona viva e concreta. Il suo e' un "assenso reale", e può essere l' avvio di una relazione religiosa trasformante”.
Insomma, già allora Biffi aveva capito che la leggerezza carica di poesia di Guareschi nascondeva qualcosa di molto profondo. E che Peppone e Don Camillo, nell’autenticità del loro dialogo-scontro, erano le due facce della stessa persona, indivisibili dal terzo protagonista dell’epopea del mondo piccolo. Il “Cristo parlante” che, al termine delle riprese cinematografiche, è rimasto nella chiesa di Brescello e che oggi continua ad essere portato in processione.