Caso davvero unico quello di Francesco Guccini, il Maestrone, il cantautore che è stato capace per tutta la sua carriera di fare ad ogni suo concerto il "tutto esaurito" e che ha dichiarato nel 2013 che non avrebbe più cantato («per un voto»). Ha posato le chitarre nel suo studio a Pavana dove vive, le guarda con affetto ma non ha più nessuna voglia di prenderle in mano.
Anche perché non ne ha bisogno poiché il sold out, se vuole, lo fa ancora girando per i teatri dove viene semplicemente e simpaticamente intervistato per un'oretta prima di far cantare i suoi Musici, la band che lo ha seguito e accompagnato per tutta la sua carriera. E caso ancora più sorprendente e raro continuano a cantare (grazie alla voce calda e argentina del bravissimo storico chitarrista Flaco Biondini) le sue canzoni mentre lui, pur invocato dal pubblico a gran voce, si ritira in buon ordine e li osserva da dietro le quinte. Senza un minimo di nostalgia. Perché un voto è un voto «Ho cantato un mese fa a Barcellona e poi mi sono rotto la spalla.... non dovevo rompere il voto». Spiega alla fine scherzando.
E così prima del breve ma emozionante concerto dei Musici Francesco Guccini, accolto da una standing ovation, ha intrattenuto il pubblico adorante "parlando di tutto e di niente" con un divertito Massimo Cirri che ha spiegato che il bello del Maestrone è proprio questo: «qualunque cosa racconti la fa sembrare interessante».
Per oltre un'ora lo abbiamo ascoltato raccontare come solo lui sa fare. Della sua recente caduta e frattura della spalla appena ha messo piede in Polonia per visitare Auschwitz con monsignor Zuppi vescovo di Bologna. Della sua prima prova canora, ancora bambino, quando rifiutò di cantare sull'altare la canzone di Natale perché avevano riso a causa del suo errore di pronuncia (non la famosissima "erre moscia" ma la "t" al posto della "c"). «Io non"tanto più"» disse prima di prenderle dalla mamma per il suo rifiuto. Dei suoi complessi (così si chiamavano le band) giovanili, dei due anni sfruttato come giornalista alla Gazzetta di Modena per soli 20.000 lire al mese senza neanche le ferie pagate (motivo per cui dopo due anni mollò il posto per un meglio retribuito lavoro come chitarrista e cantante nelle balere...). Dell'angoscia della prima notte in caserma nei diciotto mesi di naja e della chitarra che gliela rese più sopportabile.
E ancora delle sue canzoni le meno amate («Sono uno snob, per me sono quelle che hanno avuto più successo e che il pubblico mi chiedeva urlando ai concerti come l'Avvelenata») e le migliori che giudica essere quelle forse meno conosciute come Van Loon (dedicata al padre e quindi capace di commuoverlo ancora) o Madame Bovary. Dell'orgoglio per un racconto pubblicato dai Merdiani e dei suoi testi tradotti in catalano, maltese, maori....
Una vita come tante che ci appare grazie alle sue affabulazioni come un divertente e lunghissimo romanzo pieno di divagazioni colte e meno colte e che ci svela alla fine un uomo semplice, ancora suo malgrado idolo di folle di ogni età, e che del periodo dei tour musicali ora rimpiange solo una cosa «il pre e post concerto quando si mangiava tutti assieme».