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venerdì 13 settembre 2024
 
 

Guccini, memoria ed emozioni

04/08/2012  Il Dizionario delle cose perdute: il libro di Francesco Guccini. L'apprezzato cantautore intinge la sua penna in un calamaio quanto mai ricco, divertente e affascinante.

Francesco Guccini scruta nel suo e nel nostro passato alla ricerca del tempo perduto. Proprio come Marcel Proust che in sette mirabili libri ci raccontò se stesso e la sua storia, il cantautore – termine assai limitativo per definire le sue opere- compila quella che definisce «la playlist del nostro passato: oggetti, situazioni, sapori che tornano a cantare». Tutto raccolto con scrupolo e inevitabile nostalgia in un libriccino intitolato Dizionario delle cose perdute che in copertina “sbatte” l’immagine dell’indimenticabile pacchetto verde delle Nazionali Esportazione, le sigarette che il nonno ci mandava a comperare aggiungendo qualche spicciolo in più, giusto quanto bastava per comprarci la liquerizia che, nonostante le chiare indicazioni sulla confezioni, in realtà si chiamava “liquirizia”.


Le estati della nostra infanzia e della preadolescenza, le ritroviamo proprio com’erano nei trentasei brevi capitoli che sembrano foto non ingiallite di “come eravamo”. Francesco ha il dono di raccontarci da sempre storie che balzano fuori dalle parole per diventare immagini. Il rapporto col cinema, per esempio lo ricorda così: «una volta al cinema pioveva. Nei cinema parrocchiali frequentati da noi ragazzi, venti lire due film (Bernadette e Torna a casa Lassie?),  e vai allegro, pioveva perché la pellicola, di molto annosa e vetusta, era rigata dall’uso e sembrava che ogni scena si svolgesse sotto un incessante acquazzone, ma questo non ci disturbava, anzi forse pensavamo che l’effetto pioggia facesse parte della complessità del’arte cinematografica».

Classe 1940 Francesco ricorda il primo incontro con il chewing- gum, quando gli americani arrivarono in Italia e li lanciavano a coloro che sulle strade applaudivano “i liberatori”. «Pacchettini oblunghi che una volta scartati rivelavano delle tavolettine anch’esse oblunghe e odorose. Caramelle americane? Forse. Ma che fare di quelle strane caramelle? Via lesti in bocca. Però mastica mastica , quella caramella perdeva sapore e non si scioglieva, e fu quindi rapidamente inghiottita».


In casa per gli insetti si usava il Flit, antenato del Ddt, e la carbonella era usata da chi precorreva le grigliate oggi di moda nei giardini della gente che piace alla gente che piace. I taxy erano ancora gialli e il postino che prima, almeno nel film, suonava sempre due volte, mentre oggi (ammesso che suoni) se non apri in fretta devi raggiungere una raccomandata in un ufficio postale in capo al mondo. Ricordi, flashes, memorie riaffiorano da un tempo che apparteneva più ai nostri genitori, come quell’aggeggio che si chiamava “prete” e serviva a scaldare il letto. I nostri giochi si chiamavano “la pulce” (consisteva nel fare entrare in un piccolo recipiente delle piccole fiches, pizzicandole con un’altra fiche più grande) e le agrette, così almeno avevamo battezzato quei coperchietti delle bibite che usavamo come “biciclette” lanciate con un tocco tra indice e pollice su una pista disegnata sull’asfalto col gesso, E ogni coperchietto diventava un campione del ciclismo come Bartali, Coppi, Fiorenzo Magni. 

Negli anni Quaranta-Cinquanta in casa, prima del frigorifero qualcuno aveva appunto la ghiacciaia domestica. E avercela non era da tutti. «Era- la descrive Guccini- un mobiletto della grandezza circa di un comodino, con due scomparti. In uno mettevi il cibo da conservare, nell’altro mezza stecca di ghiaccio che compravi da uno che passava periodicamente con un carretto carico. Te ne spaccava un pezzo e tu lo avvolgevi in un panno di sacco e correvi a casa sgranocchiandone un pezzetto con l’inevitabile rampogna della mamma. “Ma non ti farà male tutto quel ghiaccio”. Oggi in ogni casa c’è il frigo, magari un televisore al plasma e addirittura una play station. Ci puoi giocare anche da solo e ti diverti lo stesso. Il mondo cambia, ma quelle ore passate a correre il nostro Giro d’Italia con le agrette sul marciapiede restano indimenticabili. Forse eravamo dei sempliciotti, ma com’era più serena la vita!».

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