Altre medaglie d’oro e la Gran Bretagna che festeggia ha quasi dimenticato la guerra che distrusse Londra e altre città inglesi un anno fa, lasciando 5 persone morte, 4.000 vandali arrestati e centinaia di negozi nei quartieri più poveri distrutti.
Oggi Stratford e Croydon, le zone più colpite, sono proprio quelle rimesse a nuovo dalle Olimpiadi, con 8.000 posti di lavoro garantiti dal nuovo shopping centre Westfield e le casette con giardino che presto gli atleti lasceranno libere per la popolazione locale.
Si festeggiano con picnic e barbecue le 205 bandiere dei 10.000 atleti eppure dal 6 al 10 agosto il Regno Unito sospese il fiato assistendo alla guerra civile peggiore in generazioni. Sulla morte che accese il primo fiammifero dell’incendio, quella di Mark Duggan, un uomo di colore disarmato ucciso dalla polizia proprio il 4 agosto, non è stata ancora fatta chiarezza.
La Commissione Independente interna, che si occupa delle denunce di chi non è soddisfatto di come si sono comportati gli agenti, sta procedendo così lentamente che il pubblico ministero ha minacciato di incriminarla per offesa al tribunale.
Duggan venne ucciso da una pallottola al petto e la famiglia ha chiesto, subito dopo la morte, perché non sia stato colpito in una parte del corpo meno vitale.
Fu proprio l’assenza di una risposta – la polizia non si rese disponibile a incontrare la mamma e il fratello di Duggan – a scatenare i disordini.
Saranno proprio i parenti a ricordare Mark Duggan, domenica 5 agosto, alle cinque del pomeriggio, durante una funzione nel municipio di Tottenham, uno dei quartieri più colpiti dai vandali.
Una delle poche celebrazioni che ricorda i disordini di un anno fa.

A sinistra, i pompieri combattono un incendio che sta bruciando negozi e case a Croydon, il 9 agosto 2011. A destra, un anno dopo (foto Dan Kitwood/Peter Macdiarmid/Getty Images).
«Certo i negozi sono stati ricostruiti, i danni più gravi riparati, ma le Olimpiadi non hanno rigenerato il nostro quartiere, Tottenham, perché non rientra tra i cinque distretti più coinvolti dai giochi e quindi beneficiari degli investimenti», spiega Pierpaolo Barrett, portavoce del parlamentare David Lammy, che rappresenta a Westminster la zona forse più colpita dai disordini dello scorso anno.
A un anno di distanza Croydon e Stratford, quartieri poverissimi dell’East di Londra, dove i vandali imperversavano, non sembrano più le stesse.
Un nuovissimo shopping centre, Westfield, costruito appena fuori il villaggio olimpico, ha portato 8.000 nuovi posti di lavoro sicuri e gli abitanti hanno festeggiato con picnic e giochi all’aperto l’apertura delle gare.
Eppure secondo i 130 poliziotti intervistati nello studio più importante sulle cause dei disordini, fatto dal Guardian e dalla London School of Economics, la guerriglia si ripeterà.
Già un anno fa gli agenti hanno denunciato di avercela fatta appena a contenere i disordini per mancanza di uomini e mezzi.
«Una cattiva condizione economica, il caldo, qualche episodio scatenante. Sì, la guerriglia potrebbe ripetersi”, ha spiegato un sovrintendente della polizia di Manchester, una delle città più colpite dai disordini. “Non è cambiato nulla tra oggi e lo scorso agosto. L’unica differenza è che i teppisti coinvolti hanno pensato “La guerriglia ci diverte”, il che rende una nuova ondata, entro la fine dell’anno, inevitabile».
L’allarme arriva proprio quando la polizia è impegnata in una dura disputa con il Ministro degli interni Theresa May su proposte di tagli al budget.
Lo scorso 2 luglio, in un rapporto presentato in parlamento e intitolato “Adattarsi all’austerità”, l’Ispettore capo della polizia, Denis O'Connor, ha annunciato che 34.000 posti di lavoro verranno tagliati entro il marzo 2015, ammettendo che ci sono buone ragioni di pensare che un calo nello staff possa portare a un aumento di alcuni tipi di crimini.
Rispetto al marzo dello scorso anno ci sono 4.625 agenti in meno, sui 139.110 del totale in Inghilterra e Galles.
«I londinesi sono stati avvertiti che potrebbero non ottenere un servizio, da parte della polizia, sufficientemente efficiente per i livelli di tagli che vengono fatti» si legge in “Adattarsi all’austerità”.
Anche il sindaco di Londra, Boris Johnson, ha ammesso di essere preoccupato perchè la polizia deve trovare fondi per 233 milioni di sterline entro il 2015.

Un uomo passa accanto a un edificio chiuso con compensato dopo la guerriglia, il 16 agosto di un anno fa, a Tottenham. A destra la casa oggi con la scritta “Io Amo Tottenham” (Peter Macdiarmid/Getty Images).
Sono diverse le convinzioni sulla guerriglia dello scorso agosto, diffuse da politici e giornalisti, che lo studio del Guardian e della London School of Economics dimostra infondate.
Innanzitutto l’idea che la povertà non abbia giocato una parte, come aveva affermato il Primo Ministro David Cameron, all’indomani dei disordini.
I teppisti erano di solito beneficiari dei sussidi che vanno a chi è senza lavoro e senza casa e i loro figli ricevono i pasti gratis a scuola, un indicatore di indigenza.
Tagliati fuori da qualsiasi aspirazione, i rivoltosi volevano vendicarsi dei maltrattamenti subiti da parte della polizia.
«La polizia è la gang più importante che c’è là fuori», ha detto l’85% degli intervistati. Picchiati nei furgoncini della Metropolitan, la polizia di Londra, incastrati con crimini che non avevano mai commesso, i rivoltosi hanno detto che, lo scorso 6 agosto, per la prima volta, hanno sentito di poter finalmente render pan per focaccia.
Secondo Reading the riots Cameron avrebbe anche sbagliato a dire, in parlamento, che «le gangs hanno promosso gli attacchi» e a lanciarsi su una strategia per combatterle, come reazione alla guerriglia.
Al contrario, dal 6 al 10 agosto, tra le bande di Londra, venne dichiarata una tregua che diffuse tra i teppisti un inebriante sentimento di solidarietà.
«Vedevi nemici diventare amici, anche se soltanto per un giorno», ha detto un intervistato da Reading the riots, «Tutte le bande erano le stesse, tutte insieme».
La polizia che, all’inizio, aveva dichiarato che il 28% di quelli arrestati appartenevano alle gangs, ha ridotto poi la percentuale al 19% e, infine, al 13% per le zone fuori Londra.
«Decisamente le gangs non c’entrano con la guerriglia», dice un ventiquattrenne intervistato da Reading the riots.
«Il governo aveva bisogno di qualcuno da incolpare e questa etichetta “gangs” era comoda», sostiene un ventunenne di Salford, vicino a Manchester.
«Non abbiamo trovato nessuna prova che i siti di social network hanno avuto un ruolo importante nell’incitare e organizzare la guerriglia», sostiene, sul sito di Reading the riots, il Professor Rob Procter, dell’università di Manchester che, insieme a un gruppo di accademici, ha analizzato oltre 2,6 milioni di messaggi su Twitter che parlavano della guerriglia. «Al contrario, abbiamo prove sostanziose che Twitter è stato un mezzo valido per organizzare la pulizia necessaria dopo i disordini».
Del tutto ingiustificata, quindi, la proposta di Cameron che aveva preso in considerazione, lo scorso agosto, l’idea di spegnere Twitter e Facebook.
In realtà gli hoodies cercavano in tutti i modi di evitare di comunicare su forum pubblici che li avrebbero resi riconoscibili, mentre a mandare messaggi su Twitter erano politici, giornalisti e polizia, insieme a milioni di persone, che volevano sapere che cosa stava succedendo. I vandali hanno usato, però, il sistema Blackberry Messenger, che permetteva loro di organizzare incendi e saccheggi senza essere scoperti.
A sinistra, Danni causati dai vandali a Clapham High street l’8 agosto 2011. A destra lo stesso negozio O2, un anno dopo (Chris Jackson/Peter Macdiarmid/Getty Images)).
«Il livello di attenzione che viene dato alla sicurezza, in questo momento, a causa dei Giochi Olimpici, rende meno probabile che i disordini si ripetano, ma è molto difficile dire che cosa succederà in futuro». A parlare sono il professor Tim Newburn, responsabile della facoltà di politica sociale della London School of Economics e il giornalista del Guardian Paul Lewis che hanno guidato il progetto Reading the riots. «La maggior parte dei rivoltosi e dei poliziotti intervistati ha detto di pensare che ci sarà una nuova guerriglia. Non vogliono indicare un momento preciso, come l’anniversario che ricorrerà agli inizi di agosto, ma denunciare che le condizioni economiche, sociale e culturali, che hanno promosso i saccheggi e gli incendi, non sono cambiate in modo significativo e, di conseguenza, una ripetizione dei disordini è probabile».
Il quotidiano Guardian e la London School of Economics hanno intervistato 600 persone coinvolte nei disordini, 270 delle quali erano criminali, 13 finiti in prigione, e 130 poliziotti, e mettendo a punto una mappa di ogni incidente denunciato e della località dove era avvenuto che è disponibile sul sito http://www.guardian.co.uk/uk/series/reading-the-riots .
Sono state analizzate 1,3 milioni di parole di racconto dal vivo, insieme a 2,5 milioni di tweets.
Lo studio è durato dieci mesi ed è cominciato lo scorso settembre. In una prima fase, terminata a dicembre, una trentina di ricercatori selezionati per i contatti che avevano nelle comunità coinvolte dai disordini, e preparati, appositamente allo scopo, con fondi della Joseph Rowntree Foundation, ha trascorso almeno tre quarti d’ora a parlare con i teppisti nelle loro case, in centri sociali, caffè e catene di fast food a Londra, Liverpool, Birmingham, Nottingham, Salford e Manchester. Per i 13 intervistati, che si trovavano in prigione, hanno ottenuto un permesso speciale dal Ministero di giustizia.
I colloqui sono stati poi interpretati da un team di ricercatori della London School of Economics.
All’inizio di luglio sono stati pubblicati i risultati della seconda fase, sponsorizzata dalla Open Society Foundations, avviata da George Soros per aiutare società libere e tolleranti, con oltre 300 interviste, 130 con poliziotti sulle strade di Londra, Birmingham, Manchester, Salford e Liverpool.
Ascoltate anche 40 vittime, alcune delle quali hanno perso i loro negozi o visto le loro case bruciate, e 25 cosiddetti vigilantes che, quando sembrava che la polizia stesse perdendo il controllo, sono scesi in strada per proteggere il loro vicinato.
Hanno parlato 50 avvocati che hanno difeso i rivoltosi e 25 pubblici ministeri, compreso il Procuratore Generale Keir Starmer.
Molti dei punti di vista più interessanti sono arrivati da interviste con persone comuni che hanno fornito un resoconto personale dell’episodio più intenso di disordini civili della storia inglese moderna.
Negli ultimi mesi Reading the riots è tornato nelle comunità colpite, per sette dibattiti organizzati nei municipi, ai quali hanno partecipato, nei distretti londinesi di Tottenham, Peckham, Croydon, Birmingham, Liverpool, Manchester e Salford, oltre 600 persone.
La ricerca si ispira a uno studio analogo condotto sui disordini di Detroit nel 1967 condotto dal giornale Detroit Free Press e dall’Istituto di ricerca sociale dell’Universita del Michigan.
Clapham Junction: negozi e appartamenti danneggiati dal fuoco durante la sommossa il 10 agosto 2011 e come appaiono oggi (Peter Macdiarmid/Getty Images).