Il 19 gennaio prossimo saranno vent’anni dalla morte di Bettino Craxi. Figura controversa della storia italiana ancora oggi al centro di scontri e dibattiti. Il regista Gianni Amelio lo porta sullo schermo in uno dei film più attesi dell’anno: Hammamet, ovvero gli ultimi mesi di vita del leader del Partito del garofano. Ma non si tratta di una biografia piatta o inventata: è la vicenda di un “sovrano” decaduto, malato, ormai fragile. C’è la famiglia, l’essere genitori, trovarsi sotto condanna e a un passo dal carcere.
«Ho cercato di essere rispettoso dell’umanità dei personaggi, ma senza fare concessioni. Nel rapporto con i suoi elettori in Craxi c’era un eccesso di spregiudicatezza che lo ha portato alla rovina», spiega Amelio, più volte poeta di un Paese lacerato, di sentimenti in bilico. Come ne Lamerica (migranti siamo stati anche noi) o Così ridevano (la nascita della mafia) o Il ladro di bambini (il destino amaro degli innocenti). E aggiunge: «Non sono mai stato socialista, non ho mai votato per Craxi, anzi mi infastidiva il suo presenzialismo. Fellini si lamentava perché ogni mattina sulle prime pagine dei giornali c’era scritto a caratteri cubitali solo quello che aveva pensato Craxi la sera prima. Anch’io notavo qualcosa di invadente nel suo modo di fare politica. Poi ho vissuto il dopo Craxi e niente è migliorato».
Perché ha scelto di analizzare prima l’uomo e poi lo statista?
«Credo di aver scavato nell’uomo per poter capire il politico. Non sono un esperto, non mi interessava fare un pamphlet pro o contro Craxi. Mi sono messo nei panni di un semplice cittadino. L’ultima cosa che avrei voluto era di realizzare un comizio di parte».
Hammamet è soprattutto il rapporto tra un padre e una figlia.
«Questa è la linfa vitale del film, tutto è partito da qui. Mi è venuta in mente prima la figlia, poi il padre. Non conoscevo Stefania Craxi, quindi l’ispirazione è arrivata dal mito, da Cassandra e Priamo, da Elettra e Agamennone, Cordelia e Re Lear. All’inizio però c’è stato l’incontro con la signora Anna Craxi, la vedova del leader. Sono andato a trovarla in Tunisia, dove vive. Lei mi ha raccontato gran parte della loro vita personale ed è stata una sorpresa: non mi aspettavo che fosse un’amante del cinema, dei western. Mi ha mostrato tante fotografie, senza nostalgia e senza commozione. È una persona un po’ distaccata da tutto quello che è successo, ho capito che questa è la sua arma per sopravvivere. Nei figli invece è ancora una ferita aperta».
Ha mai incontrato Craxi?
«No. Allora non mi convinceva il suo modo di agire. Oggi le sue idee mi fanno riflettere. Non per un’improvvisa rivalutazione, ma perché la politica, dopo di lui, ha assunto un aspetto farsesco, per non dire tragico».
Com’è stato lavorare nella villa dove Craxi è realmente vissuto?
«È stata un’idea di Anna Craxi, nata forse da un equivoco. La seconda volta che sono andato a cercarla, lei ha creduto che volessi girare il film da loro. In realtà non avevo nessuna intenzione di farlo. Ma è una casa molto particolare: lontana dal mare, tra gli ulivi, modesta. In tutta la Tunisia ne ho vista soltanto un’altra con queste caratteristiche e là ho girato gli esterni. Anna Craxi mi ha offerto quel luogo con generosità, sgombrando il terreno da qualsiasi tipo di invadenza. Lei, durante le riprese, è rimasta in Italia, ha lasciato un custode che ogni mattina ci apriva la porta».
Quanto è ancora forte il ricordo di Craxi ad Hammamet?
«Più che forte. Non si è mai appannato. Ad Hammamet lo amano, ancora oggi. Lui aveva l’abitudine di frequentare la gente comune. Seminava la sua scorta, entrava nelle case della Medina. Pierfrancesco Favino aveva un trucco che lo rendeva uguale a Craxi. Tutti quelli che ci vedevano filmare restavano per un attimo paralizzati, pensavano che fosse davvero di nuovo tra loro. Non so se sia significativo o meno, ma quando il reale autista di Craxi ha visto Favino si è messo a piangere. Sono stati insieme per oltre vent’anni ed erano molto legati. Ero obbligato ad avvicinarmi il più possibile all’originale, è un volto troppo noto. Altrimenti non sarebbe stato credibile. Ma la somiglianza non basta, serve un grande attore. E Favino lo è».
(nella foto di Claudio Iannone, Gianni Amelio con Pierfrancesco Favino nei panni di Bettino Craxi)