Gentile don Antonio, ho 38 anni. Alcuni anni fa ero una giovane come tante, “normale”, impegnata nel lavoro, nel volontariato, in parrocchia... eppure ho compiuto il male: ho abortito mio figlio. Come ho potuto? Non mi soffermo sul contesto, perché non fa differenza, poiché anche nelle situazioni più difficili e disperate siamo sempre liberi di scegliere. E io ho scelto il male.
In seguito a quanto successo, ho conosciuto l’inferno del più divorante senso di colpa, dell’orrore nel guardarmi allo specchio e vedervi un mostro, del pensare di meritare solo cose orribili per il mio gesto. Ho conosciuto il dolore di piangere la morte di un figlio che per giunta è arrivata per causa mia. Solo con l’aiuto dell’associazione “Il dono”, di una psicologa e di un sacerdote attento e accogliente, grazie all’amore di quello che oggi è mio marito, e soprattutto grazie alla misericordia del Signore, la mia vita non ha preso una strada diversa e io non ho lasciato che il peccato e la morte avessero l’ultima parola. Il mio peccato e il mio gesto non sono meno orrendi, anzi. Io però non sono solo quel peccato, quel gesto. Ho voluto credere che Dio anche su una tela macchiata quale sono io potesse dipingere ancora qualcosa di bello. E ho deciso di scommettere su di lui e di lasciarlo fare. In nome di quel bimbo mai nato.
Da allora quando sento certi casi di cronaca, penso che anche quelle persone forse hanno ceduto all’inganno della loro follia, o dei loro pensieri sbagliati, o hanno creduto di non avere altre scelte... Provo pena perché, forse, in seguito alle loro azioni qui in terra, le loro anime conosceranno il fuoco dell’inferno. Il male compiuto non si cancella, nella vita ahimè non c’è retromarcia. E i mostri su cui vegliare, quelli da domare con l’aiuto che viene solo dall’alto, non sono fuori ma dentro di noi. «Pregate e vegliate per non entrare in tentazione», disse Gesù. Niente di più vero. E pensare, di qualunque cosa, che «io non ne sarei mai capace» è forse una delle più grandi tentazioni... A cui prego ogni giorno di non cedere.
Lettera firmata
Cara amica, grazie per la tua testimonianza. La tua lettera, pur raccontando un’esperienza terribile, apre il cuore alla speranza. Mi auguro che chiunque legga si senta toccato nel profondo, comprenda il male che ha compiuto, e scopra che c’è ancora una possibilità, che l’amore di Dio è più grande dei nostri peccati. Mi vengono in mente le bellissime parole rivolte da Giovanni Paolo II alle donne che hanno fatto ricorso all’aborto. Tanti condizionamenti possono aver influito su questa decisione, che è stata in molti casi sofferta, forse drammatica, e può aver lasciato una ferita profonda nell’animo. Quanto è avvenuto, scriveva il Papa, «è stato e rimane profondamente ingiusto». Tuttavia, aggiungeva, «non lasciatevi prendere dallo scoraggiamento e non abbandonate la speranza. […] Apritevi con umiltà e fiducia al pentimento: il Padre di ogni misericordia vi aspetta per offrirvi il suo perdono e la sua pace nel sacramento della Riconciliazione. Allo stesso Padre e alla sua misericordia potete affidare con speranza il vostro bambino. Aiutate dal consiglio e dalla vicinanza di persone amiche e competenti, potrete essere con la vostra sofferta testimonianza tra i più eloquenti difensori del diritto di tutti alla vita» (Evangelium vitae 99).