Cinema onnivoro. Immagini che si nutrono di altre immagini, il metacinema del metacinema. Viaggio musicale attraverso un’epoca, attraverso i generi. Cronaca di un decennio al tramonto, affresco perturbante. Tarantino ragiona sull’estetica del passato, del presente. Ci si immerge, si annaspa, per poi tornare a galla. C’era una volta a… Hollywood è “antinarrativo”, costruito sulle situazioni, sui momenti. Il filo conduttore è la vita di un attore e della sua controfigura, nel 1969. Inseparabili. Condividono ogni set, e la sera si concedono una birra insieme. Vogliono diventare stelle.
Ma la vera protagonista è Hollywood. Quella che si illumina di notte, quella in cui in ogni sala si poteva entrare a proiezione iniziata e abbandonare quando si voleva. È un’istantanea nostalgica, attenta al cambiamento. Scorrono i mesi, e dal western si passa al dramma, dalla “commedia” (ironia cristallina, humour nero) si sfocia addirittura nell’horror. Omaggio a Corbucci, Margheriti, Hawks, Argento, alla “serie Z”… Cinefilia estrema, atto d’amore indiscusso. Con un cast senza precedenti: Leonardo DiCaprio, Brad Pitt, Margot Robbie, Al Pacino… A Hollywood c’è tutta Hollywood.
Il c’era una volta guarda alla favola, a Leone. Inutile cercare la verosimiglianza, Tarantino ammicca alla Storia, per poi darne una sua versione (ve lo ricordate Bastardi senza gloria?). La sua arte non scende a patti con nessun canone, si fa summa di un universo. Film che si sviluppano all’interno di altri film (non reali, ma girati per l’occasione), bulimia di episodi che sono legati non dagli eventi, ma dalla passione.
C’era una volta a… Hollywood diventa un racconto intimista, forse anche malinconico. Il cineasta ci guida nella sua formazione, negli anni in cui divorava con gli occhi ogni sequenza a disposizione. Questo è un Jackie Brown ancora più radicale, di un’ambizione sfrenata. Delinea un’atmosfera, è la vittoria dei sensi, dei gesti dilatati in oltre 160 minuti di durata. Ma potenzialmente potrebbe non finire mai, potrebbe arrivare al contemporaneo, analizzare i nuovi mezzi e spingersi molto più in là. Colori accesi, formati diversi, persone che si sfiorano per poi sparire per sempre.
Tarantino costruisce un flusso di coscienza, ci invita a credere nella magia della finzione cinematografica. La sua è un’opera-mondo, che si eleva dal destino dei singoli. Mostra la fiaba, il sogno, che ormai non esiste più o forse addirittura non è mai esistito. Non c’è la sete di vendetta di Kill Bill, la neve di The Hateful Eight… Ma forse C’era una volta a… Hollywood li contiene tutti (per esempio il set delle prime sequenze sembra lo stesso di Django Unchained). Tarantino delle meraviglie, che al suo nono lungometraggio sceglie di guardarsi indietro, rielaborare, abbracciare tutto quello che lo ha fatto crescere, e andare avanti. Confessioni di un maestro non sull’orlo di una crisi di nervi, che qui a Cannes divide, esalta, e si candida per entrare nel palmarès.