Dopo le discussioni sollevate con l’anteprima alla 74° Mostra del cinema di Venezia, approda oggi nei cinema di tutta Italia (dove verrà programmato per tre giorni in una di quelle che ormai vengono chiamate “uscite evento”) Human Flow, toccante docufilm firmato dall’artista cinese Ai Weiwei, attivista più che mai impegnato nella difesa dei diritti di coloro che sono i più indifesi nel panorama mondiale. E chi più dei migranti, oggi? Disgraziati che attraversano i deserti, le regioni martoriate dalle guerre, i flutti minacciosi del Mediterraneo nella speranza di garantire a sé e ai figli una vita più dignitosa.
Un film che per noi avrebbe meritato il Leone d’oro (se non altro per l’impegno coniugato all’eccelso impatto visivo) mentre buona parte dei critici lo ha spernacchiato. 140 minuti di immagini crude, bellissime, quasi senza dialoghi (per lo più una babele di voci in tante lingue diverse) che raccontano la moderna tragedia dei migranti. I fuggiaschi che annegano nelle acque del Mediteranneo, ma non solo.
Ai Weiwei, artista, designer, architetto, attivista nella lotta per i diritti umani (in Cina e altrove) ha girato il mondo e filmato in 23 Paesi i volti e la quotidianità di coloro che, per guerra o per fame, sono oggi costretti a lasciare la propria casa natale: oltre 65 milioni di persone, la stima dell’Onu. Senza patetismi, ma con uno sguardo partecipe da artista, riesce a fare ancor più del tanto già fatto da Gianfranco Rosi con
Fuocoammare. Le scelte visive meravigliose, passando dalla telecamera al telefonino o alle immagini da un drone, testimoniano lo stile dell’artista mentre certi critici le hanno tacciate di estetismo. Altri accusano, al contrario, la mancata elaborazione del materiale cioè l’assenza di un’idea registica. Ma Ai Weiwei (qui al suo primo lungometraggio) è un artista che si serve delle immagini a fini artistici, è l’autore di gigantesche installazioni concettuali che hanno fatto il giro del mondo. L’ultima a Palazzo Strozzi a Firenze, l’inverno scorso, proprio per attirare la pubblica attenzione sul quotidiano dramma dei migranti. Attraverso lui, la forma si fa racconto. Senza mediazioni o sovrastrutture. Ecco perché il suo obiettivo mette così a disagio. Lo spettatore viene calato in mezzo ai disperati di oggi facendolo ansimare, marciare, sperare come loro.