Adam Driver, Alba Rohrwacher e il regista Saverio Costanzo
Hungry hearts (Cuori affamati) di Saverio Costanzo completa il terzetto di titoli italiani in corsa quest'anno per il Leone d'oro. La cinepresa del regista romano (già apprezzato per la versione Sky della serie televisiva In treatment e per film come La solitudine dei numeri primi) fin dalla prima inquadratura bracca i protagonisti in uno spazio angusto: lo scassatissimo bagno di un ristorante cinese di New York dove la coppia rimane bloccata. Lei, Mina, è la nostra efebica ed aggraziata Alba Rohrwacher, reduce dal premio appena vinto a Cannes con la sorella Alice per il film Le meraviglie. Lui, Jude, è l'americano Adam Driver, spilungone affascinante segnalatosi come uno dei migliori attori d'oltreoceano (tanto che ora è sul set del nuovo Star Wars di J.J. Abrams con Harrison Ford e poi sarà impegnato in Silence di Martin Scorsese).
L'incontro iniziale non potrebbe essere più bislacco e divertente perché lui è in preda a una crisi intestinale, lo sgabuzzino olezza e lei non può scappar via essendo la porta incastrata. Imbarazzo, risate, i primi timidi scambi di confidenze. Nella solitudine di una frenetica New York, i due cominciano a frequentarsi, a piacersi. Finché esplode l'amore. Così forte e vero che, quando lei resta incinta, i due decidono di sposarsi: lui è un giovane ingegnere e continuerà a lavorare, mentre lei smetterà di collaborare con l'ambasciata italiana per dedicarsi alla nuova vita. Il guaio è che Mina è una giovane donna ipersensibile, angosciata dalla tecnologia e dall'inquinamento, alla ricerca di una purezza impossibile per quel suo bambino che, lei ne è certa, sarà speciale. La china verso l'infelicità comincia dolcemente con tutti quei rituali assurdi a cui lei sottopone Jude che, appena rientrato, può prendere in braccio il bimbo solo dopo essersi accuratamente lavato. Niente scarpe né cellulare, niente sole e aria inquinati per la creatura... che però non cresce a causa dell'alimentazione rigidamente vegana: verdure, cereali e legumi senza carne, formaggi, latticini, uova. E' un bimbo a rischio, spiega il medico a un Jude combattuto tra la logica di padre e l'amore per Mina. Lei gli chiede di fidarsi, perché sente che quella è la strada giusta. Ma lui si riduce a dare di nascosto al figlio pezzetti di prosciutto, durante le rare passeggiate. La battaglia cresce, diventa implacabile. Fino a coinvolgere Anne, la madre di lui, dapprima felice per la svolta familiare del suo Jude poi sempre più preoccupata per il nipotino. Finale troppo scontato.
Una scena del film Hungry Hearts
Girato interamente in inglese, Hungry hearts vive nella prima parte i suoi momenti migliori. L'incontro, l'innamoramento e la felicità trovata da Jude e Mina sono narrati con grazia mercè anche le interpretazioni ispirate dei due protagonisti. Soprattutto quella di Adam Driver che, con la sua faccia mobile e irregolare, i suoi sorrisi dirompenti, le sue gioie e i suoi dolori così fisici, riesce a rendere credibile lo smarrimento di Jude quando allo spettatore verrebbe invece in mente che in ben altro modo lui si sarebbe comportato. Per contro, si fa via via macchiettistico il ruolo di Mina, con una Rohrwacher che propende per la pazzia piuttosto che per l'estrema particolarità del personaggio. Insomma, l'iniziale stato di grazia vira in un'atmosfera noir quasi forzata, dove sogni premonitori e scelte di regia conducono meccanicamente verso l'amaro finale. A fine proiezione, applausi ma anche dissensi per un film riuscito solo a metà.
“Sono contento delle reazioni forti, perfino delle lacrime in sala. Vuol dire che il film è vivo”, mette le mani avanti il barbuto Costanzo. “Il libro Il bambino indaco di Marco Franzoso mi aveva colpito subito, ma sulle prime non ero convinto di farne un film perché il rischio della morbosità era in agguato. La sua drammaturgia, però, è così forte che alla fine mi sono deciso in modo istintivo, senza preconcetti. Il mio film non è contro niente e nessuno, è una storia sul disagio dell'amore. Non giudico i personaggi, li guardo con tenerezza e chiedo al pubblico di fare lo stesso. Come padre, ora mi guardo con meno severità e più passione”.
“Mi sono piaciuti subito Saverio e Alba, abbiamo la stessa idea di cinema”, dice sorridendo Adam Driver, 31 anni, californiano, mancato marine e oggi il bruttone più affascinante della nuova Hollywood. “Anche se non c'erano soldi per questo film, c'era la storia con un tema forte. Un personaggio complesso il mio, che ho costruito pian piano ogni mattina, sul set. Difficile è stato imparare a cantare in italiano Tu si 'na cosa grande pe' me. E poi lavorare con due bimbi. All'inizio non sapevo neanche come tenerli in braccio. Oggi, giro con le loro foto in tasca”.