Che bello sarebbe stato assistere a questa scena: mentre fuori infuria un temporale, Lucio Battisti esce dallo studio di Oxford, dove sta registrando Una donna per amico, e davanti a un camino acceso prende la chitarra e inizia a cantare lasciando ammutoliti i pochi fortunati presenti, per i quali era solo uno sconosciuto cantante italiano. Questo aneddoto è stato raccontato ieri dal produttore Geoff Westley alla presentazione di Masters, la nuova antologia di Battisti uscita il 29 settembre, titolo della canzone che 50 anni fa (in realtà uscì nella primavera del 1967), grazie all’Equipe 84, fu il primo grande successo del sodalizio fra il cantautore e Mogol.
Da quando Battisti è scomparso nel 1998 sono state pubblicate altre antologie, ma questa (disponibile in quattro Cd o in 3 Lp) ha un valore in più, l’altissima qualità della masterizzazione che permette di apprezzare come mai un aspetto finora poco noto dell’arte battistiana: la sua eccezionale bravura come musicista e produttore. Ieri alla presentazione, subito dopo aver ascoltato Emozioni, Franz Di Cioccio, leader della PFM che suonò con Battisti dal 1968 al 1971, ricorda: « Lucio ci faceva mettere in cerchio e poi si registrava in diretta. Ci dirigeva con lo sguardo e intanto cantava e suonava la chitarra sempre in un modo incredibile».
E poi ricorda quando, dopo che Battisti aveva cantato “come la neve non fa rumore” toccava a lui entrare con la batteria: «Come avrei fatto a non rovinare quell’atmosfera magica?.Scelsi solo di dare alcuni colpi con le bacchette attutite con il feltro». Colpi che queste registrazioni ci permettono di ascoltare nella loro bellezza. Oppure in Dio mio no, uno sfrenato rock costruito su un unico accordo, «l’atmosfera era così surriscaldata che, quando arrivò il turno dell’assolo di organo, Lucio si mise a urlare a Dario Baldan Bembo: “Baldan, Baldan!” e alla fine decise di lasciare tutto sul disco perché, come diceva lui, “fa sound”. Fece la stessa cosa con Dieci ragazze. La musica era finita, ma mi scappò un colpo in cassa. Lui mi guardò ed esclamò in romanesco: “Bello, ‘o tenemo”».
Questo metodo di lavoro cambiò totalmente quando Battisti decise di registrare i suoi dischi prima in America e poi a Londra affidandosi a produttori come Westley, che ricorda: «A volte eravamo in disaccordo, ma lui si limitava solo a dire che ci voleva qualcosa di più “emotional”. Questo è stato il più grande insegnamento che mi ha lasciato: La musica non è virtuosismo, ma solo emozione. E non mi chiese mai di suonare lui la chitarra in un suo disco. Scoprii quanto era bravo quella sera a Oxford. Se ci ripenso adesso ho ancora i brividi». Questo cofanetto è solo l’antipasto della pubblicazione dell’intera discografia battistiana rimasterizzata, che avverrà a cadenza trimestrale.