Tre persone su quattro sono preoccupate dalla discriminazione di cui sono vittime i bambini rifugiati; quattro su 10 accetterebbero di accoglierne un numero maggiore nel proprio Paese. Sono alcuni dei dati emersi da un sondaggio lanciato da Save the children in occasione della Giornata mondiale del Rifugiato,per analizzare il fenomeno della discriminazione nei confronti dei bambini rifugiati. Quello dei rifugiati è un tema che preoccupa quasi tre quarti degli intervistati, particolarmente sentito rispetto ad altre problematiche. Lo stesso numero di intervistati si dice preoccupato dal problema della discriminazione che affligge i bambini rifugiati o sfollati, costretti ad abbandonare le proprie case a causa dei conflitti che colpiscono i loro Paesi. Il livello di preoccupazione riguardo alla discriminazione dei piccoli rifugiati in alcuni Paesi europei, come Svezia, Regno Unito, Danimarca e Germania, è al di sotto della media globale, mentre sono Spagna e Italia, tra i Paesi del vecchio continente, a essere maggiormente preoccupati da questo fenomeno.
Il sondaggio è stato condotto di 18 Paesi tra cui l’Italia, coinvolgendo 18.000 persone.
Nonostante emerga chiaramente da parte degli intervistati una forte percezione del problema della discriminazione nei confronti dei bambini rifugiati, pochi di loro sarebbero disposti a compiere azioni concrete per combattere questo fenomeno: quattro su 10, a livello globale, sarebbero anche disposti ad accogliere un numero maggiore di bambini rifugiati nel proprio Paese. In Italia la percentuale degli intervistati favorevoli a questa misura si assesta al 33% (un altro terzo è neutrale), seconda solo alla Spagna tra i paesi europei esaminati (Spagna, Italia, Germania, Regno Unito e Danimarca).
“Da un lato le aree di conflitto, i paesi sottoposti a dittature feroci o
quelli attraversati da gravi crisi e instabilità che sfociano in
violenze sui civili, e, dall’altro, le emergenze climatiche destinate a
moltiplicarsi, stanno costringendo milioni di bambini con le loro
famiglie, e a volte anche da soli, a fuggire dopo aver perso tutto, per
salvarsi o cercare l’unica possibilità di futuro altrove,” ha dichiarato
Valerio Neri, Direttore Generale di Save the Children Italia.
“La comunità internazionale ha il dovere di accogliere e proteggere
adeguatamente i bambini profughi. Una responsabilità verso la quale,
purtroppo, l’Europa per prima non ha saputo dimostrare alcuna leadership
positiva. I leader dell’Unione hanno pensato prima a proteggere le
frontiere invece di proteggere le migliaia di bambini profughi giunti in
Europa, esponendoli a rischi gravissimi per la loro salute e la loro
sicurezza. A queste sofferenze, che si consumano in mare e poi lungo le
frontiere interne in Europa e le rotte bloccate da muri e filo spinato, o
nei campi di detenzione e in quelli comunque inadeguati ad
un’accoglienza dignitosa, si aggiunge una scarsa o del tutto assente
possibilità per questi bambini e adolescenti di accedere, per periodi
anche lunghi, a una qualunque forma di educazione che è fondamentale per
il loro futuro. Save the Children chiederà a gran voce all’Assemblea
Generale dell’ONU del prossimo settembre che nessun bambino rifugiato o sfollato al mondo debba restare senza scuola per più di 30 giorni”.
Invece, almeno 3,5 milioni di bambini rifugiati nel mondo non hanno accesso alla scuola,
e sono per questo ancora più vulnerabili alle discriminazioni e agli
abusi, allo sfruttamento da parte dei trafficanti o costretti a
matrimoni precoci e lavoro minorile. Secondo il 77% degli intervistati
nell’ambito del sondaggio di Save the Children, i bambini rifugiati e
sfollati hanno diritto all’educazione come qualsiasi altro bambino, ma
solo la metà di loro crede che la scuola debba essere una priorità per
questi bambini.
Sette intervistati su 10 ritengono che la responsabilità del fatto che i
bambini siano costretti a fuggire dalle zone di conflitto e a crescere
nei campi profughi ricada, pressoché in egual misura, sia sui governi
che sulle famiglie e le comunità. Tra gli intervistati europei invece, la responsabilità viene percepita come maggiormente imputabile ai governi,
con il dato italiano a conferma questa tendenza: per tre quarti dei
nostri connazionali sono proprio i governi a essere responsabili di tale
situazione, mentre sei su dieci individuano delle responsabilità anche
per famiglie e comunità.