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domenica 16 febbraio 2025
 
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I beati martiri d'Algeria: dal loro sangue una speranza di pace

07/12/2018  «Non si tratta di farne un mito, ma di mettere in luce il loro lavoro quotidiano con gli amici algerini», spiega l’arcivescovo emerito Henri Teissier. Fu lui, nel 2007, ad aprire l’iter che li ha portati agli altari

In Algeria i cristiani sono sempre stati una minoranza, ma per i loro luoghi di culto hanno scelto posti molto belli. Il santuario Notre- Dame de Santa Cruz, a Orano, sta in cima a una collina dove la vista abbraccia la città, il porto di Mers el-Kébir e la costa mediterranea. Qui, sabato 8 dicembre, il cardinale Angelo Becciu, prefetto della Congregazione delle cause dei santi, presiede la cerimonia di beatificazione del vescovo di Orano, monsignor Pierre Claverie, e di altri 18 religiosi (tra i quali 6 suore) uccisi, in odio alla fede, in Algeria tra il 1994 e il 1996.

LE MINACCE NON LI PIEGARONO

Il martirio della Chiesa algerina si concentrò in soli tre anni, nel cuore dell’ultimo decennio del secolo scorso: il decennio di sangue in cui il Paese fu teatro di uno scontro feroce fra i militanti jihadisti e le forze di sicurezza. Il conflitto fu scatenato dall’annullamento delle elezioni legislative del 1991, in cui il partito islamico del Fis si stava avviando a conquistare la maggioranza.

Ancora non si parlava di Al Qaeda e Isis. I terroristi del Gia (Gruppo islamico armato), e in seguito gruppi salafiti ancora più spietati, colpivano nelle città e nelle campagne. La grande maggioranza delle decine di migliaia di vittime (forse 200 mila) di quegli anni di piombo è rappresentata da algerini musulmani: intellettuali, scrittori, un centinaio di giornalisti, religiosi (caddero trucidati 114 imam) e gente comune, morta negli attentati con le bombe o sterminata all’arma bianca nei villaggi dell’entroterra.

Gli attentati contro gli stranieri non furono molti, ma tutti spietati. Nel dicembre del 1993 vennero uccisi a coltellate 12 lavoratori cristiani croati e bosniaci, nel luglio del 1994 sette marinai italiani di una nave mercantile furono sgozzati nel porto di Djen Djen. Poi ci fu la strage dei religiosi, con uno stillicidio di agguati che cominciò l’8 maggio del 1994, con l’uccisione di padre Henri Vergès e suor Paul-Hélène Saint-Raymond, assassinati nella qasba di Algeri, dove lavoravano per i giovani meno abbienti.

Le vittime beatificate l’8 dicembre erano persone miti, in gran parte anziane e presenti in Algeria da molti anni, benvolute, con tanti amici musulmani, come dimostra la storia dei sette monaci di Tibherine. Erano esponenti di una Chiesa cattolica minoritaria (nel 1992 in Algeria i cristiani non erano neppure ventimila su 28 milioni di abitanti), discreta, per nulla incline al proselitismo, da sempre vicina al popolo algerino. «Vogliamo essere una presenza viva nella società algerina, senza voler imporre un nostro modello di società», ripeteva in quegli anni l’allora arcivescovo di Algeri, monsignor Henri Teissier.

CONTRO L’AUTOREVOLEZZA DELLA CHIESA

  

Teissier guidava la diocesi di Algeri dal 1988, quando prese il posto del cardinale Léon-Etienne Duval. Grazie a Duval la Chiesa cattolica in Algeria era riuscita a godere di rispetto e prestigio, senza confondere la sua immagine con quella della Francia, l’antica potenza coloniale. Quando andai a trovarlo nel suo appartamento sulla collina di Notre Dame-d’Afrique, pochi mesi prima della sua morte avvenuta nel maggio del 1996 (lo stesso giorno in cui furono ritrovati i corpi dei sette monaci di Tibhirine), il tassista musulmano che mi portò da Duval volle salutare il vecchio cardinale con un inchino. Akila Ouared, combattente della guerra di liberazione contro la Francia, mi descrisse Duval come «nôtre frère de combat», il nostro fratello nella lotta. Questa era la reputazione della Chiesa cattolica in Algeria.

L’arcivescovo Teissier, 89 anni, che nel 2007 aprì il processo di beatificazione dei 19 martiri, oggi invita a comprendere «il senso profondo di questa beatificazione». «Non si tratta», spiega, «di creare degli eroi, ma di mettere in luce il loro lavoro quotidiano con i loro amici algerini. La loro beatificazione è presentata come esempio alla Chiesa, non per invitare i cattolici a rivendicare qualche tipo di onore, ma per invitarli a vivere nella semplicità quotidiana del Vangelo e nel rispetto degli altri».

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