Gli imprenditori cinesi di Prato hanno cominciato ad assumere gli italiani. C’è da non crederci, perché il quartiere cinese della cittadina toscana, ingranditosi negli anni sino a diventare una delle Chinatown più vaste e popolose d’Europa, ha sempre avuto la fama di costituire una società praticamente impermeabile, una delle comunità più chiuse in Italia. E invece, secondo una ricerca promossa dall’ istituto Iris - Strumenti e risorse per lo sviluppo locale- son ben 355 i lavoratori italiani assunti da imprenditori cinesi a Prato città e in provincia tra ottobre 2010 e giugno 2015, pari al 19% del totale degli avviamenti nello stesso periodo.
Un dato significativo, che per certi versi può essere interpretato come l’inizio di una possibile integrazione tra la popolazione italiana di Prato e quella cinese. La ricerca ha preso in considerazioni le cento imprese cinesi col maggiore capitale sociale, non solo nel settore tessile, ma anche nell’alberghiero, nella ristorazione e nell’immobiliare.
«Gli imprenditori cinesi oggi hanno bisogno di manodopera specializzata ed evidentemente non sempre riescono a trovarla all’interno della loro comunità», spiega Andrea Valzania, ricercatore di Iris. «La nostra ricerca evidenzia che l’universo cinese non è più un monolite indistinto», continua, «ci sono aziende che si stanno attrezzando in maniera diversa, ricorrendo anche a lavoratori italiani, ove necessario, e aprendosi di conseguenza all’integrazione».
E’ probabile che la crisi costringa anche le imprese cinesi a inseguire la qualità, per sopravvivere. C’è da augurarsi, comunque, che queste aziende possano fare da traino perché anche altre possano seguirne l’esempio. Purtroppo la cronaca testimonia che proprio all’interno della Chinatown di Prato persistono, ancora oggi, le condizioni di lavoro più drammatiche. I famigerati capannoni dove gli operai dormono, mangiano e lavorano, anche 18 ore al giorno, in condizioni precarie di sicurezza. Nel rogo di uno di questi laboratori, il 1 dicembre del 2013, persero la vita 7 persone, cinque uomini e due donne, tutti di nazionalità cinese. Papa Francesco, nella sua visita a Prato a novembre, ha voluto ricordarle, condannando “una tragedia dello sfruttamento”.