Ancora in famiglia. Genitori sempre. La prima ricerca con le associazioni dei separati di Paola Tettamanzi, ed. San Paolo.
Mai come in questi giorni
si è parlato di separazioni
e divorzi. Ma non di rado
viene da pensare che a
questa apparente grande
attenzione non corrisponde
un ascolto attento, partecipato,
delle voci di chi queste realtà vive,
non nelle improbabili raffigurazioni
dei telefilm televisivi, ma nella vita di
ogni giorno.
Migliaia di uomini e donne
– l’anno scorso le separazioni
sono state circa 90 mila e i divorzi
50 mila – che sarebbe profondamente
ingiusto rinchiudere nella cornice
di un’immagine stereotipata se non,
peggio ancora, banalizzata.
Non fosse che per questa ragione,
va accolta con grande interesse l’iniziativa
dell’Istituto di Antropologia per la cultura della famiglia e della
persona che ha commissionato al
Centro studi e ricerche sulla famiglia
dell’Università Cattolica un’approfondita
e corposa ricerca basata sull’ascolto
di centinaia di persone vere.
«Il fastidioso e insopportabile luogo
comune del “separarsi è bello”, tormentone
ideologico di certo progressismo
senza etica e senza fondamento,
sembra definitivamente tramontato»,
commenta Paola Tettamanzi, coordinatrice
dei progetti di ricerca dell’istituto
e curatrice del volume Ancora
famiglia (San Paolo), che dei risultati
della ricerca rende conto, arricchendoli
con tante testimonianze in prima
persona, da cui emergono le fatiche
quotidiane di molte mamme e papà,
ma anche tanta sofferenza e solitudine dif cili da coniugare con
la solita, banalissima frase “chiuso un
matrimonio se ne fa un altro migliore”.
«È stato davvero toccante e coinvolgente
ascoltare il racconto di chi
vive una situazione ben diversa da
quella che la fabbrica dell’immaginario
collettivo rappresenta sulla stampa
rosa, le rubriche dei cuori spezzati, i
programmi tv con s late incessanti di
vip accomunati dal fatto di avere alle
spalle relazioni plurime, vortici di partner,
girandole di nuovi amori».
Grazie alle associazioni di separati,
in testa a tutte "Famiglie separate
cristiane", guidata dall’inarrestabile
Ernesto Emanuele, che da una vita
si dedica all’ascolto di chi si trova ad
affrontare una situazione che spesso
fa il vuoto intorno, i ricercatori hanno
potuto raccogliere le riflessioni di
tantissimi, credenti o meno, sulle dif-
coltà incontrate e le risorse messe in
campo, in particolare per continuare a
essere mamme e papà quando non si è
più marito e moglie.
«Un dato che è emerso con chiarezza
sia dai questionari che dagli incontri
», spiega Paola Tettamanzi, «è
la profonda solitudine in cui molti si
trovano anche rispetto alla propria
famiglia d’origine. È paradossale notare
come i genitori della coppia siano
collaborativi ad esempio con il mutuo
dei giovani o per altri ni materiali,
per poi invece arroccarsi su due fronti
diversi proprio nel momento in cui
la coppia vive una dif coltà ben più
profonda.
La ricerca mostra invece
come il benessere dei bambini dipenda
in gran parte dall’atteggiamento
dei nonni che si impegnano ad
avere buone relazioni con l’ex partner
del glio o della glia, invece che ridursi
a schierarsi contro di lui».
Purtroppo talvolta anche gli amici
non sanno capire quali sono le necessità
di chi spesso si vede crollare il
mondo addosso, oltre che dal punto di
vista degli affetti anche da quello delle
risorse economiche e, dopo aver condiviso
esperienze di lavoro o vacanza,
non vogliono fare altrettanto con ben
altri impegni.
Il bene dei figli
«Un padre», racconta
Paola Tettamanzi, «mi ha confessato
che non capiva come i suoi migliori
amici non vedessero che il suo primo
problema era riuscire a mantenersi e trovare una sistemazione per vivere.
Una mamma, ultracinquantenne, costretta
a tornare a vivere con l’anziana
madre, descriveva la prostrazione di essere
trattata esattamente come quando
era una glia ventenne… Altri hanno
testimoniato l’orgoglio di essere riusciti
a mantenere l’obiettivo del bene dei
figli, consapevoli di aver potuto trovare
un accordo sulla loro educazione, che
tuttavia è costato fatiche non indifferenti
a causa della situazione e della
distanza sica dai gli. Ma altri hanno
confessato il dolore per l’impossibilità
di frequentarli. Mi ha fatto male al cuore
sentirmi dire in più di un’occasione
che la tentazione di farla nita era stata
fortissima. Mi chiedo se i cantori della
separazione “lieta e rapida” si siano mai
incaricati di guardare da vicino le condizioni
reali dei separati, ascoltare le
loro richieste, dare voce alle loro attese,
alle loro speranze, alle loro delusioni».
Eppure, come dice Ernesto Emanuele,
un buon punto di partenza sarebbe
ascoltare chi da decenni si mette
accanto a coloro che, prima ancora che
di consigli specialistici, hanno bisogno
di sentirsi ascoltati direttamente da
chi c’è già passato.
Lui, che ha inventato e aperto il
Telefono Sos separati (02/65.54.736), in
funzione 24 ore su 24, si chiede: «Non
sarebbe più semplice ascoltare quello
che noi abbiamo sperimentato sulla
nostra pelle? Non sarebbe più opportuno,
e anche più intelligente, da parte
della politica, della società e della Chiesa,
trarre insegnamento dalle nostre
ferite?».