Dopo lo sgombero. In copertina, uno scorcio di un campo profughi dei rifugiati siriani in Libano.
Dal pagamento di una “tassa di soggiorno” semestrale di 200 dollari fino all'espulsione forzata. Il Libano, che finora ha accolto più profughi siriani di qualsiasi altro Paese ‒ un milione e 200 mila (ultima stima Onu fino a gennaio 2015, che poi, su pressione del governo di Beirut, ha dovuto interrompere l'opera di registrazione) su circa 4 milioni di abitanti ‒ sta cambiando politica.
Seimila persone sono state sgomberate da 40 campi profughi nella regione dell'Akkar, al confine con la Siria, la più povera, dove non c'è lavoro neppure per gli stessi libanesi. In particolare, sono stati fatti sgomberare i campi di Tel Abbas al Gharbi e Qubbe Chamra, ciascuno popolato da 700-750 persone, scappate per lo più da Homs, città azzerata dalle bombe, ma anche da Idlib e Damasco.
Secondo le fonti in loco, l'esercito libanese ha dato 48 ore di tempo per «trovare un'altra sistemazione», minacciando di dar fuoco alle tende. La gente è scappata, terrorizzata, priva di tutto, se non di qualche pezzo di nylon, di tela cerata, o qualche lamiera, “fondamenta” della nuova casa, ovunque essa sarà. Una fuga senza meta per Huda, Nidal, Muhammad, Abu, Omar, Ahmad.
Alle spalle, una guerra di cui non si vede la fine, davanti il mare e un'Europa che ha le porte serrate, “fortezza” per le nostre paure.
Libano, il campo profughi di Telabbas.
Così famiglie intere dormono per strada, sotto il sole cocente
C'è chi cerca di entrare illegalmente in Turchia, e chi cerca di imbarcarsi. Ma senza documenti ‒ il 95% dei profughi non ne ha più uno valido ‒ non si prendono aerei, né navi, e il rischio di essere arrestato o rispedito in Siria è alto. Da sud non si esce, perché la missione Unifil garantisce la sicurezza del confine con Israele.
Così famiglie intere dormono per strada, sotto il sole cocente, senza un futuro. I pochi rimasti nei campi sanno che domani probabilmente toccherà a loro andarsene. Dal 30 giugno a oggi sono stati sgomberati 95 campi in oltre 12 località sulla regione costiera a nord di Tripoli al Mina, a ridosso del confine con la Siria.
La denuncia arriva dall'Onu e da numerosi operatori umanitari, che sottolineano come questo «violi il diritto umanitario internazionale, ma anche le stessi leggi libanesi». Non si rimanda indietro chi scappa da un Paese in guerra. La Convenzione di Ginevra, ratificata nel 1951 da 128 Stati delle Nazioni Unite, su questo parla chiaro. Ma il Libano non ha mai firmato convenzioni per il riconoscimento dello status di rifugiati; l'accoglienza di questi anni è stata dettata dalla disponibilità del governo, convinto che la guerra in Siria sarebbe durata poco. I campi sono per lo più informali ‒ poche tende, case o garage in affitto, dove vivono poche decine di persone ‒ a volte sostenuti da organizzazioni caritative islamiche. Si tratta di micro-tendopoli non riconosciute né dal governo, né dalle municipalità, dove la parola d'ordine è cercare di passare inosservati.
Uno dei campi profughi dei siriani, dopo lo sgombero forzato.
Siria, la più grave crisi umanitaria degli ultimi 25 anni
Sulla vicenda degli sgomberi il governo di Beirut ha finora mantenuto un basso profilo. Tuttavia, nei giorni scorsi, il ministro degli esteri Gibran Bassil aveva affermato che «la presenza massiccia di profughi siriani (sunniti, ndr) in Libano rischia di distruggere l'equilibrio demografico», già messo a dura prova dai tanti campi palestinesi, presenti dal 1948 e dal '67.
Un equilibrio fragilissimo visto che nel Paese dal 1943, dopo anni di guerra civile, un Patto nazionale sancisce che il presidente dev'essere sempre un cristiano maronita, il Consiglio dei ministri è presieduto da un musulmano sunnita e la presidenza dell'Assemblea nazionale spetta ad un musulmano sciita.
C'è, poi, il timore della destabilizzazione anche del “Paese dei cedri” che, con Hezbollah, partito sciita libanese, che combatte in Siria a sostegno del presidente Assad, è uno dei principali attori del conflitto siriano. E le infiltrazioni jihadiste nei campi profughi siriani in Libano ‒ complice il confine poroso ‒ sono reali.
Ma la denuncia non vuole essere un atto d'accusa nei confronti del Libano, che per i profughi ha fatto molto più di tutta l'Europa assieme, bensì uno sprone per la comunità internazionale, affinché si attivi, e la gestione della guerra siriana non sia lasciata nelle mani di gruppi militari, né di gruppi terroristici.
A quattro anni dall'inizio, con la più grave crisi umanitaria degli ultimi 25 anni, il mondo tace. La Siria è diventata una delle tante crisi dimenticate, nonostante l'Alto Commissario per i rifugiati dell'Onu, Antonio Guterres, abbia parlato di «livelli di distruzione senza precedenti».
La gravità della situazione ha spinto il presidente della delegazione italiana al Consiglio d'Europa, Michele Nicoletti, a presentare un'interpellanza urgente (sottoscritta dalle onorevoli Lia Quartapelle e Cinzia Maria Fontana) al ministro degli Esteri Paolo Gentiloni. Nel testo si chiede di conoscere «quali iniziative il governo italiano intraprenderà, sia in sede di Unione Europea, che di Nazioni Unite, per garantire il rispetto dei diritti umani dei profughi della guerra civile in Siria e per sostenere lo Stato libanese nello sforzo di accoglienza e protezione».