Ansia, stress, chiusura forzata in casa, mancanza di relazioni hanno moltiplicato in questo lunghissimo anno di pandemia i problemi alimentari soprattutto tra i giovanissimi. Ne parliamo con Stefano Tavullia, fondatore di Mi nutro di vita che dieci anni fa ha perso la figlia Giulia, 17 anni, per una complicanza – arresto cardiaco - legata alla bulimia di cui soffriva. «Durante quest'anno abbiamo ricevuto il doppio delle richieste di aiuto dalle famiglie soprattutto per figli minori. Questo sia perché c'è la pandemia sia perché, a causa di questa, sono sospesi i servizi di assistenza e cura. In sostanza, anche su questo fronte si replica quel che accade per gli altri malati in tempo di Covid».
«Noi oggi - dice sconfortato - come associazione dovremmo essere a sostegno alle famiglie, non indirizzare alle cure. Ma nel caos del momento ci chiamano disperate. I disturbi alimentari sono come il Covid: se li prendi al sorgere della malattia e hai un ambulatorio periferico che li accolga con equipe multidisciplinari il più delle volte li riesci a curare. Le associazioni sono sostegno e indicano gli eventuali percorsi di cura nei vari territori. Lo sconforto nasce dal fatto che poi i servizi sono assenti o ci sono liste d'attesa lunghissime. Mia figlia è morta sì per le complicanze della sua malattia, ma probabilmente se non fosse stata in lista d'attesa per essere curata oggi sarebbe ancora qua».
Ambulatori periferici, equipe multidisciplinari. Ecco cosa servirebbe: «Ogni provincia dovrebbe avere un ambulatorio dedicato con un team di professionisti diversi. In Liguria al momento c'è un unico ambulatorio a Genova, ma ci sono regioni dove non c'è n'è nemmeno uno. Sui minori, poi, dovrebbe lavorare l'ospedale pediatrico: ma né ce ne sono molti in Italia né hanno reparti dedicati. Eppure questa è ormai una malattia preponderante; niente, non si attrezzano. Noi qui in Liguria stiamo lavorando sul Gaslini uno degli ospedali pediatrici più importanti in Europa e un'eccellenza per alcune patologie nel mondo; a oggi la legge regionale approvata non è ancora stata attuata. Ci sono solo sei o sette posti dedicati e i bambini vengono presi solo se gravemente in sottopeso. Risolto il problema organico (il peso) vengono dimessi. Dietro a ogni bambino che arriva in pronto soccorso manca la presa in carica a 360 gradi che deve coinvolgere nella cura sia il corpo che la mente. E la famiglia che va coinvolta, curata e preparata».
Stessa cosa è successa con il codice Lilla: «Abbiamo chiesto che venisse riconosciuto negli ospedali; nel 2018, quando il Governo ha riconosciuto ufficialmente questa giornata, il ministero della Salute ha raccomandato il codice lilla, ma non è ancora stato attuato perché vorrebbe dire istruire specificamente il personale. Dal riconoscimento, all'accettazione, alla presa in carico e, infine, alla cura. Perché se non riconosci che dietro a un bambino o ragazzino che ha problemi di stipsi c'è un problema alimentare lo manderai sempre – erroneamente - nel reparto di gastroenterologia».
Stefano Tavullia, papà di Giulia e fondatore di "Mi nutro di vita"
Da quando è mancato Giulia sono stati fatti passi avanti? «Da un punto di vista informativo se ne parla di più, c'è più cultura. Adesso bene o male una famiglia sa a cosa va incontro. Una volta – penso anche alla mia esperienza - non si sapeva cosa fossero i disturbi alimentari. Oggi, anche in una giornata sola, c'è informazione e una grande rete di volontariato. Manca – strutturata - la parte dedicata alla cura e, purtroppo devo dire, che è causa di questo se mia figlia 10 anni fa è morta: non tanto perché soffrisse di bulimia, ma perché era in lista di attesa giudicata non troppo grave. E le liste ci sono ancora oggi e si muore della malattia».
Ecco allora la petizione (http://chng.it/FtSbHR5w) «Una raccolta firme perché i disturbi alimentari vengano riconosciuti come malattia a se stante; perché tutte le regioni si possano dotare dei livelli minimi essenziali di cura per queste malattie perché al momento sono poche quelle che hanno questi livelli di cura. Malattia a se stante per la quantità di malati, per il numero di decessi 4mila all'anno e per l'impatto sociale che ha. Perché se moltiplichi il numero di malati per il numero di parenti che si ammala con loro (almeno uno dei due genitori se non tutti e due) arrivi al 10percento della popolazione italiana. Una vera epidemia sociale, una pandemia nella pandemia. L'altro dato che deve far riflettere – e lo dice uno che ha entrambi i genitori ottantenni - è che, se a causa del Covid l'età media dei decessi si è 8o anni, in queste malattie l'età media è sotto i 30 anni. Stiamo parlando del nostro futuro».
Cos'ha voluto dire vedere riconosciuta nel 2018 una giornata nazionale? «L'ho voluta fortemente il 15 marzo per ricordare tutti quelli che non ce l'hanno fatta, ma anche perché fosse un segno di speranza: da queste malattie - se curate in tempo e adeguatamente – si può uscire. Ecco perché insisto nel chiamarle malattie e non disturbi passeggeri. Perché la malattia richiama immediatamente alla cura. Il disturbo è sempre inteso come passeggero, non lo associ alla mortalità». Come papà, poi «È stata il riconoscimento e il coronamento di anni e anni di lotte e rivendicazioni. So però che è solo la prima pietra e c'è molto da fare. Ma il fatto che oggi o in prossimità della giornata se ne parli tanto è qualcosa che prima non succedeva. Oltre che è una giornata che ha fatto sì che tante persone uscissero allo scoperto abbattendo omertà e vergogna che hanno sempre aleggiato su queste malattie».
C'è un appello che come presidente di Nutro di vita vuole fare? «Lo stesso, per i genitori e per chi ne soffre perché ci sono anche tanti adulti. Tantissime sono per esempio le richieste di aiuto di donne di 40/45 anni che vivono la malattia da 30 anni e non vengono più riconosciute dai servizi. Convivono quotidianamente con la malattia ed è straziante. Da queste malattie non si guarisce da soli; è fondamentale chiedere aiuto ed è fondamentale essere aiutati. Che è quello che facciamo noi con Mi nutro di vita (www.minutrodivita.it): dare ascolto, fare della condivisione una forza, indicare le strade migliori e possibili».