Nel dibattito sulla Legge di stabilità, quest’anno molto si è discusso del cosiddetto bonus natalità o bonus bebè: un’erogazione avviata in via sperimentale alla nascita del figlio, per i primi tre anni di vita, pari a 80 euro al mese, con vari limiti di reddito (mentre scriviamo, fino ai 25 mila euro di Isee familiare).
Ma grandi sono l’indecisione e il tira e molla tra favorevoli e contrari in Parlamento: fino all’ultimo minuto (almeno rispetto alla chiusura di questo numero della rivista) nessuno può realmente prevedere la scelta finale: questo sostegno resta o viene cancellato? Dura solo per il primo anno di vita o fino ai tre anni? Viene finanziata solo per tre anni (per i nati dal 2018 al 2020), ma poi diventa strutturale o decade? E chi nasce nel 2020 avrà ancora tre anni di sostegno oppure a fine 2020 finisce tutto?
E inne – dato purtroppo altamente probabile – l’erogazione dovrebbe restare di 80 euro al mese solamente per il 2018, mentre nel 2019 e nel 2020 si dimezzerà: solo 40 euro al mese.
Basteranno per i pannolini? Il tutto mentre l’Istat segnala l’ennesimo ulteriore calo delle nascite, vera e propria emergenza demografica e socio-economica: circa 470 mila nati nel 2016, il dato più basso dal 1861. Sono nati meno bambini, quest’anno, di quanti ne sono nati durante ogni singolo anno delle due grandi Guerre mondiali.
Davvero sconfortante vedere che anche quando l’economia dà qualche flebile segnale di ripresa, con beneficio pure dei conti pubblici, le politiche per la famiglia e per il sostegno alla natalità rimangono marginali, pretesto di scontri politici anche all’interno della stessa maggioranza.
Sulla famiglia rimangono politiche miopi, incapaci di pensare il futuro del sistema Paese, sempre in bilico. E in questo agire senza orizzonte da parte della politica alle famiglie manca l’aria, e sono costrette a rimandare, o addirittura a rinunciare ad avere un figlio in più.
Perché chi mette al mondo un bambino deve avere un orizzonte temporale di almeno venticinque anni, in cui i genitori ogni giorno dovranno dedicare al figlio tempo, energie, risorse economiche, affettive, relazionali.
Invece la politica continua a misurare l’esito delle proprie scelte sulla cifra del piccolo cabotaggio, sulla prossima scadenza elettorale, o peggio, sul grado di consenso immediato che una dichiarazione o una promessa di intervento fanno ottenere nei sondaggi di opinione, in una infinita campagna pre-elettorale. Elezioni a cui, però, andranno a votare sempre meno elettori: cioè, sempre meno famiglie, forse anche perché stanche di essere illuse e deluse.