Impressionanti nubifragi nel Milanese, con bombe d’acqua e raffiche di vento così forti da scoperchiare i tetti. Quanto accaduto in Lombardia lunedì scorso non è che l’ultimo atto di un inquietante crescendo. Pochi giorni fa, sul litorale adriatico, tra Romagna e Marche, si sono viste onde anomale capaci di sovrastare le spiagge, fino alla terza fila di ombrelloni, e seminare il panico tra i bagnanti. Frattanto ampie zone del meridione – come di altri Paesi mediterranei, a cominciare dalla Grecia – ardono in una fornace, con temperature da deserti africani. E porzioni sempre più ampie di territorio vengono divorate dagli incendi. Da Nord a Sud, l’estate 2023 ci restituisce le istantanee di una natura che sembra impazzita, richiamandoci alla memoria le pagine bibliche del diluvio o quelle delle grandi siccità. Tutti questi fenomeni, per quanto in apparenza diversi e distanti nello spazio, hanno, in realtà, un’origine comune. Sono le facce di una stessa medaglia.
Che esista un’evidente correlazione tra gli eventi climatici estremi lo spiega con chiarezza Roberto Danovaro, professore di Ecologia e Sostenibilità Ambientale all’Università Politecnica delle Marche. «Gli effetti del cambiamento climatico si manifestano con una pluralità di fenomeni» sottolinea lo scienziato. «Da un lato ci sono le “ondate di calore”, con picchi di temperatura sempre più elevati e frequenti, che nulla hanno a che vedere con le normali temperature estive». Al riguardo, Danovaro fa riferimento a una pubblicazione apparsa sulla prestigiosa rivista Nature Medicine lo scorso 10 luglio: questo studio ha stimato che il caldo registrato nell’estate 2022 abbia causato, in Europa, più di 60.000 morti. Oltre 18.000 le vittime in Italia, uno tra i Paesi più colpiti, con Spagna e Grecia. Bastano questi dati per inquadrare il fenomeno. Inutile dire che le alte temperature e la mancanza di umidità aumentano in modo significativo i rischi di incendio e rendono i territori molto più vulnerabili alle fiamme.
Non solo. «Tra le conseguenze del caldo anomalo» prosegue l’esperto di impatto dei cambiamenti climatici «c’è una forte evaporazione di acqua, che si concentra nell’atmosfera sotto forma di vapore acqueo. Ecco perché si acuiscono fenomeni come quello delle bombe d’acqua, destinati, purtroppo, a divenire sempre più frequenti. Così, gli uragani nel Mediterraneo, i cosiddetti Medicane, pressoché sconosciuti alla generazione dei nostri nonni, sono parte di uno scenario col quale dovremo fare i conti». Le conseguenze – e ormai iniziamo ad averne un’idea – sono gravi. «L’enorme quantità d’acqua concentrata in pochissimo tempo non viene assorbita dal terreno, non crea riserve, non rifornisce gli ecosistemi, ma scorre via, verso il mare, producendo tutta una serie di effetti negativi, dal dissesto idrogeologico alla non balneabilità dei siti marini».
La Grecia in fiamme
Va detto che ampia parte della comunità scientifica aveva lanciato l’allarme già decenni fa. Non si tratta, insomma, di mere fatalità, né, tanto meno, di episodi da derubricare con il termine di maltempo. Siamo davanti a fenomeni climatici estremi già ampiamente studiati e, in certa misura, prevedibili. «Negli Stati Uniti, ad esempio, sono stati elaborati dei modelli capaci di annunciare la formazione di uragani, misurando il sovra-riscaldamento delle acque superficiali dell’Atlantico».
Ecco un punto fondamentale della questione. Di fronte a eventi così fuori controllo e così catastrofici per chi li subisce, è naturale chiedersi da dove partire per correre ai ripari. «La prima risposta si chiama consapevolezza» sottolinea Danovaro. «Ai dati scientifici, raccolti su scala globale in modo indipendente, non è più possibile contrapporre le opinioni personali. Bisogna capire, una volta per tutte, che la scienza dell’ambiente va presa sul serio, esattamente come la scienza medica. L’atteggiamento di negazione è pericoloso, sotto ogni punto di vista».
Nessun allarmismo, dunque, ma solo un lucido sguardo sulla realtà. Secondo lo studioso, «siamo ancora in tempo per un cambio di rotta, ma più aspettiamo e più i costi saranno elevati. 10 miliardi investiti oggi per l’adattamento ai cambiamenti climatici sono 100 miliardi risparmiati in futuro. Senza questa logica, continueremo a rincorrere le emergenze, in attesa della prossima tragedia. Qui però non si tratta di fatalità, ma di probabilità».
Tutti sono chiamati in causa, a cominciare da Governi e amministrazioni locali, «perché l’ambiente non deve avere colori politici. Dobbiamo comprendere che la nostra salute, nel senso più ampio del termine, è strettamente legata alla salute complessiva del pianeta». Le soluzioni concrete ci sono. «In una città, le infrastrutture verdi non solo catturano le polveri sottili responsabili dell’inquinamento atmosferico, ma abbassano di 15°C la temperatura al suolo». Anche le azioni individuali hanno un loro peso: «il singolo cittadino, ad esempio, può scegliere operatori che producano energia da fonti rinnovabili. E può limitare i consumi di acqua. Anche in questi casi, però, servono risposte di sistema, che rendano possibili i comportamenti virtuosi. Altrimenti saremo dei piccoli don Chisciotte, che incidono poco».