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martedì 05 novembre 2024
 
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Nostro fratello, don Peppe Diana

16/03/2019  Emilio e Marisa Diana ricordano il fratello sacerdote ucciso 25 anni fa. «Voleva allontanare i ragazzi dalla camorra: questa era la sua missione, era felice di essere prete»

«Era solare, non temeva il giudizio degli altri e, soprattutto, voleva che i ragazzi si allontanassero dalla camorra: questa era la sua missione, e lui era felice di essere prete». Quando ricordano il fratello don Peppe Diana, a Emilio e Marisa si velano gli occhi per la nostalgia. Mamma Iolanda, 86 anni, non trattiene le lacrime. E così fanno anche le nipoti, Annachiara e Iole, che lo zio l’hanno conosciuto solo attraverso i racconti e le foto appese alle pareti di casa.

Si assomigliano molto, fra di loro, i familiari di don Diana. E tutti – ciascuno a modo proprio – conservano nel cuore, nello sguardo e nel temperamento una profonda impronta del sacerdote ucciso 25 anni fa. «Mai avrei pensato che potesse essere ucciso. Nei primi anni il ricordo mi faceva male e, oltre al dolore della perdita e alle tante domande che mi sorgevano anche sulla fede e la Chiesa, provavamo anche tanta rabbia per le accuse infamanti che circolavano su suo conto. Ho impiegato 15 anni a convivere con il dolore, oggi però giro per le scuole a raccontare chi era mio fratello», dice Marisa, 53 anni. «Quando l’ammazzarono, il mio primogenito aveva appena 20 giorni. Peppe, che era affettuoso e caro con tutti, era felicissimo del nipotino, gli brillavano gli occhi di gioia appena lo vedeva. Lo voleva coccolare e io gli dicevo di non farlo perché con la barba gli pungeva il viso. Poi interveniva mamma: “Lascialo fare”, lei voleva che Peppe fosse sempre contento».

Una famiglia unita, quella dei Diana, ancora più unita dopo l’omicidio che gli ha sconvolto la vita. «I nostri genitori, Gennaro e Iolanda, ci hanno trasmesso principi sani e, su tutti, il comandamento dell’amore». Nei quattro anni in cui era parroco alla chiesa di San Nicola di Bari, Peppe risiedeva in casa con la famiglia. La mattina celebrava Messa poi accompagnava il nipotino Gennaro all’asilo. «Eravamo contenti di averlo con noi, tante sere rientrava con amici scout e della parrocchia e cenavamo assieme», ricordano i fratelli. «Diceva cucina per dieci e venivano in trenta», puntualizza mamma Iolanda. «E poi aggiungeva: “Quello che mangio io, mangiano anche loro”. Eravamo coma una grande famiglia. Peppe, non lo scorderò mai».

Dopo l’ordinazione, don Diana mise tutte le sue energie nella missione di sacerdote. «Eravamo un po’ in allerta per lui, la zona della parrocchia di San Nicola, dove era parroco, in quell’epoca aveva un alto tasso di criminalità», riprende Emilio, 59 anni. «Peppe però non aveva paura, aveva fatto il sacerdote per scelta». «Le sue omelie erano pungenti, ma non condannava il singolo camorrista quanto il sistema in generale, per far capire quanto la prepotenza fosse sbagliata», interviene Marisa. «Quando partecipava ai convegni mamma e papà invece gli dicevano “stai attento, non ti esporre”, e lui rispondeva “ma che faccio di sbagliato? Questo è Vangelo”».

Per Marisa, Emilio e il resto della famiglia, Peppe è già beato. Anzi, santo: «Anche se la Chiesa ha impiegato anni a riconoscere il coraggio e il martirio di mio fratello, nei nostri cuori lui è già santo. E se qualcuno nutre ancora dubbi su di lui, ci sono tanti confratelli che l’hanno stimato e difeso. Con don Carlo Aversano, che fu la sua guida in seminario e poi nella parrocchia di San Salvatore qui a Casal di Principe, ogni 19 del mese celebriamo una Messa in sua memoria. Anche don Luigi Ciotti ci è sempre stato vicino, ogni volta che passa da Casale viene a farci visita. Mia madre, la chiama mamma».
Oggi le nipoti di don Peppe, Annachiara e Iole, hanno rispettivamente 20 e 24 anni. Mentre i genitori parlano dello zio, i loro occhi si riempiono di lacrime: «Se oggi qui viviamo tutti molto più tranquillamente, lo dobbiamo a lui. Ha avuto il coraggio di mettersi in gioco, è bello pensare che Casal di Principe è cambiato anche grazie al suo impegno».

Domenica 17 marzo anche loro accompagneranno il corteo degli oltre 6 mila scout che attraverseranno Casal di Principe per ricordare chi con loro, dal 1978 alla morte, condivise il cammino come capo e poi come assistente spirituale. «Peppe amava lo scoutismo e oggi “i suoi ragazzi” vivono in noi». Tutti insieme a ricordare don Peppe, anche se la sua figura, proprio come la voce dei profeti, è scomoda e fa discutere ancora oggi. «Vorrei che questo 25° anniversario ci vedesse tutti uniti e fosse significativo specialmente per gli scout, i giovani e gli allievi delle scuole che animeranno il corteo e le attività del 19 marzo», chiude Marisa. «Peppe avrebbe sicuramente voluto così».

Don Peppe Diana e la caduta di Gomorra, di Luigi Ferraiuolo , su Sanpaolostore.it

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