Quella appena conclusa è stata una delle più brutte campagne elettorali di questi ultimi anni. Un’assurda competizione, segnata da insulti, risse e falsità. Senza un confronto vero e diretto tra i candidati, che è il sale della democrazia. Se non la cartina di tornasole delle tante promesse seminate sul territorio. Anche le falsità, senza una verifica e ripetute a ogni ora del giorno, diventano “verità”. O, per lo meno, tali sono credute da chi, disilluso da anni di attese, si aggrappa al primo salvagente che gli è lanciato. Ogni candidato ha promesso di tutto e di più. Pure l’impossibile. Anche se è immorale promettere quel che si sa già che non si potrà mai mantenere. A meno di scaricarne il costo sulle prossime generazioni. Da perfetti irresponsabili. Come già in passato. Ogni bambino che nasce, oggi, ha sulle proprie spalle un debito di quarantamila euro. Che, di certo, non ha contratto lui. Suscitare sogni aiuta a vivere. Ma se c’è un progetto chiaro e onesto. Oltre che a beneficio di tutti. Altrimenti, anche i bei sogni svaniscono come neve al sole. Soprattutto a primavera. O si trasformano in incubi, accrescendo il senso di frustrazione della gente. Che è già abbastanza alto. E pure a rischio di degenerazioni. Quando non si ha nulla da perdere, o anche da sperare, ci si affida al primo Masaniello di turno. Mai fuochi di paglia non durano a lungo. Sono come un boomerang, ti ricadono addosso. C’è carenza di solidarietà nel Paese. E scarso senso del bene comune. Ciascuno chiede all’altro quella responsabilità che, finora, non ha mai mostrato di avere. E di mettere a disposizione, arroccandosi nel fortino della propria diversità. Così come, nelle pieghe che paralizzano il Paese, si sono incistati i mass media, essendosi asserviti a interessi di parte. Anche quando confliggevano con la verità. Purtroppo, le ideologie non sono ancora scomparse. Ma chi, quasi del tutto, ha abbandonato la scena, sono gli uomini di cultura. Quelli che, grazie a lungimiranza, hanno una visione più realistica del Paese. E anche del futuro. L’onestà intellettuale l’hanno sostituita con le convenienze. Spesso al traino del carro dei vincitori. Ma quel che più preoccupa è la generale assenza di idee e progetti per le nuove generazioni. Non basta elargire un reddito, come una sorta di elemosina, per tacitarle o conquistarle. In un Paese che invecchia rapidamente, questa priorità non è balzata in cima agli interessi. Eppure, assistiamo a un “suicidio demografico”, che neppure il ricambio dei figli di immigrati, quei “nuovi italiani” che ci impuntiamo a non riconoscere, è in grado di bloccare.
Pochi giovani e pure maltrattati. Ma sono gli stessi che, tra qualche decennio, avranno sulle spalle milioni di anziani e superanziani. Un fardello sproporzionato da portare. Per non dire dei due milioni di giovani che né studiano né lavorano. E di cui nessuno più si occupa. Se non nell’imminenza delle elezioni. O dell’alto tasso dell’abbandono scolastico, soprattutto al Sud. Anche se, per emergere, il resto del mondo punta su formazione e innovazione. I giovani che ce la fanno, grazie a risorse di famiglia, il futuro ormai lo cercano altrove. All’estero, dove saranno eccellenze in ogni campo. Grazie al “genio italiano”, che in casa nessuno valorizza. Gli immigrati, gli stessi che hanno permesso ad alcuni di vincere le elezioni, non sono un’emergenza. Tanto meno il vero problema del Paese. Che è, invece, la povertà crescente. Se ben “governati”, con accoglienza e integrazione, gli stranieri sono una risorsa, di cui non possiamo fare a meno. Sia per l’economia, che per la demografia. Più che di chi sbarca da noi, dovremmo preoccuparci dei giovani che lasciano l’Italia. Per non farvi più ritorno. E sono tantissimi. Le migliori energie. Anche per la Chiesa, i giovani sono quella “parte che gli manca”. Se ne occuperà al Sinodo. Nel Paese, invece, “tabula rasa”.
(Foto Ansa)