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martedì 08 ottobre 2024
 
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I genitori lottano per Tafida

14/09/2019  Ricorso contro l'ospedale che vorrebbe sospendere le cure, nel "migliore interesse del minore", per mantenere in vita la piccola di cinque anni che ha gravi lesioni cerebrali. La parola ai giudici.

Santità della vita. Dignità degli esseri umani. Innata o conferita da alcune condizioni particolari? Esistenza dell’anima.

Nell’aula 39 dell’Alta Corte britannica, nella sezione inaugurata dalla Regina Elisabetta II negli anni Ottanta, sono andati in scena tutti questi concetti filosofici e religiosi.

A un certo punto l’avvocato Katie Gollop, che sosteneva, per conto dei dottori del “London Royal Hospital”, che a Tafida Raqeeb, bambina di cinque anni con gravi danni cerebrali, vanno staccate le spine dei macchinari che la tengono in vita, ha detto: «Ho trovato un po’ di tempo, durante questo processo, per chiedermi che tipo di esistenza ha l’anima».

Come già per Alfie Evans e Charlie Gard, genitori devotissimi, mamma Shelina e papà Mohammed, ricorrevano al giudice per impedire ai medici di lasciar morire la figlia, che vogliono trasportare in Italia, al centro pediatrico Giannina Gaslini di Genova.

Questa volta hanno fatto appello alla loro religione, oltre che al diritto di proteggere la vita della figlia.

In fondo all’aula sedevano due file di parenti, le donne con il volto coperto dallo “hijab”, il velo musulmano.

«Tafida appartiene a una comunità islamica unitissima», ha spiegato l’avvocato della famiglia Vikram Sachdevaqc, «La sua vita è sacra e può essere interrotta soltanto in caso di morte cerebrale. Se la bambina potesse parlare direbbe che desidera continuare a vivere come le chiede la religione alla quale appartiene».

Se il diritto a praticare una fede religiosa e quello di due genitori di far curare i propri figli siano più forti e quanto rispetto a uno Stato profondamente secolarizzato come quello britannico – dove ormai la metà della popolazione non ha nessun tipo di credo – lo sapremo la settimana che comincia il 30 settembre.

Il giudice Alistair Mac Donald non ha voluto risparmiare ai genitori di Tafida la sofferenza di un’altra attesa, dopo quella lunga, cominciata lo scorso febbraio, quando la piccola ha avuto un’improvvisa emorragia cerebrale. E si è scusato per non aver potuto raggiungere subito un verdetto, promettendo di esaminare con attenzione questo caso «così complesso e delicato», ha detto.

Difficile immaginare che non darà ragione al guardiano della bambina, la figura prevista dal “Children Act” del 1989, la legislazione sui minori, che la rappresenta, davanti al giudice come figura indipendente con propri diritti, separata dai genitori.

Già nei casi di Alfie Evans e Charlie Gard i giudici hanno deciso che era nel «miglior interesse» dei minori morire, anziché vivere, perché la loro qualità della vita non giustificava ventilazione e alimentazione artificiali. E nel diritto anglosassono sono i precedenti a contare perché su questa casistica è costruita la legge.

Anche ieri, il tutore legale di Tafida, Michael Gration, e l’avvocato dell’ospedale, Katie Gollop, hanno sostenuto che la bambina non reagisce, è in coma e avrebbe bisogno di altre operazioni invasive e dolorose per continuare a vivere.

Un punto di vista diverso da quello dei genitori, che la descrivono attenta, in grado di reagire agli stimoli e sostengono che è cresciuta, da quando è stata ricoverata lo scorso febbraio, e può migliorare se curata adeguatamente.

Quanti altri genitori britannici abbandoneranno il servizio sanitario pubblico, da sempre motivo di orgoglio nazionale, per rifugiarsi in altri Paesi se il giudice Alistair Mac Donald consentirà alla famiglia Raqeeb di spostare la figlia in Italia?

L’opinione pubblica del Regno Unito si chiede, ancora una volta, se una mamma e un papà, devoti ai propri figli, devono essere messi nella tragica condizione di ricorrere alla legge, pagando conti legali di migliaia di sterline, per difendere il diritto alla vita della loro bambina.

Un piccolo spiraglio esiste perché una nuova legislazione, la “Charlie Gard Law”, sta facendo piccoli progressi. Se venisse approvata da Westminster, il criterio del «miglior interesse» del minore, che ha portato alla morte di Alfie e Charlie, verrebbe accantonato.

Prima di tutto il giudice dovrà chiedersi se la cura proposta dai genitori – in questo caso il trasferimento di Tafida in Italia – procurerà danni significativi al figlio. E soltanto in una seconda fase seguire il criterio del «migliore interesse» del minore.

Per ora è soltanto una proposta di legge.

Alla fine di settembre sapremo il destino di Tafida. Capiremo allora anche quanto spazio hanno ancora in Gran Bretagna valori puramente religiosi come il concetto che una vita è sacra ed è «scritta nel libro di Dio». Queste le parole usate da mamma Shelina.

Durante il processo proprio lei ha spiegato al giudice che non può acconsentire alla morte della figlia «perché commetterebbe un grave peccato».

Una parola davvero in disuso nel Regno Unito di oggi.

 
 
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