Mi colpisce l’atteggiamento rivendicativo e sempre sulla difensiva di alcuni genitori. Non solo per gli episodi di cronaca in cui gli insegnanti sono aggrediti fisicamente, ma per le tante situazioni meno cruente che incontro tutti i giorni. Sono doppiamente preoccupata: come mamma, perché mi chiedo quali conseguenze potrà avere sulla crescita dei ragazzi l’incapacità di riconoscere le loro responsabilità quando commettono azioni scorrette, dubitando sempre della parola della scuola. Come dirigente, perché mi trovo in difficoltà a creare con questi genitori un’alleanza educativa, che ritengo un obiettivo fondamentale.
ALESSANDRA
— Cara Alessandra, molte volte ho richiamato in questa rubrica la difficoltà di separazione come uno dei problemi psicologici più rilevanti oggi nel rapporto tra genitori e figli. Non si tratta solo della fatica che alcuni ragazzi fanno a uscire di casa, a fare esperienze lontano dalla famiglia, preferendo rintanarsi nelle loro stanze riscaldati dalle cure amorevoli di mamma e papà. La separazione, prima che essere fisica, si verifica nella mente delle persone. Richiede una presa di distanza che permette di dare un giudizio libero e obiettivo. Alcuni genitori sentono i figli come un prolungamento di loro stessi, per cui tendono a scusarli sempre perché si riconoscono in loro da ragazzi. Altri ritengono che un rimprovero fatto a un figlio sia un’accusa di incapacità educativa. Altri ancora hanno bisogno di difendere a ogni costo la propria immagine mentale di un figlio ideale e meraviglioso. Dentro a queste diverse posizioni c’è l’idea del figlio come qualcuno (direi qualcosa) che appartiene ai genitori, il risultato esclusivo dei loro cromosomi e del loro amore. Negando però che un figlio appartiene a sé stesso prima che a mamma e papà e che, man mano che cresce, la protezione nei suoi confronti va ridotta in modo che il ragazzo si confronti in autonomia con la realtà e le sue richieste. Non è forse un caso se i disturbi d’ansia e quelli legati alla carenza di autostima siano così diffusi? Mediare tra un’immagine ideale di sé, quel che si vorrebbe essere, e le proprie reali risorse, cioè quel che si è, è un compito evolutivo importante per gli adolescenti. Ciò significa anche riuscire gradualmente a fare i conti con i propri aspetti difettuali, con i propri limiti. Perché questo avvenga, scuola e famiglia possono darsi la mano affinché gli adolescenti si conoscano sempre più a fondo e non restino in balìa del proprio narcisismo. Un narcisismo rafforzato da quello dei genitori che non tollerano le frustrazioni dei figli e, anziché aiutarli a trovare sicurezza in sé stessi, si fanno carico di difenderli anche quando sono indifendibili.