Francisco Melo Medeiros.
Sono
tutti under 40. I 2.500 contadini, allevatori, pescatori, casari e
chef che tra il 3 e il 6 ottobre si danno appuntamento a Milano per
Terra Madre giovani sono rigorosamente nati dopo la prima grande
crisi petrolifera, quella che nel 1973 appiedò intere popolazioni,
segnando una svolta. L'evento ha un tema orgogliosamente impegnativo:
We feed the planet.
Noi nutriamo il pianeta.
«In realtà, chi lavora i
campi o prende il largo con le sue reti fa molto più che “produrre”
cibo: insegna a proteggere i semi, le piante, l’acqua e il suolo,
ma soprattutto mostra come gioire della bellezza delle piccole cose e
della condivisione», assicura uno degli organizzatori, il trentenne
olandese Joris Lohman.
Gli fa eco Francesco Anastasi,
24 anni, siciliano di Messina, una laurea in Scienze Gastronomiche
conseguita a Pollenzo (Cuneo), anch'egli nell'equipe di chi lavora
per dar vita a Terra Madre giovani: «Contiamo
sul lento contagio dell'esempio. Le nuove generazioni hanno una
crescente consapevolezza: bisogna aiutare questa politica incapace di
vedere lontano».
«Io
arrivo dall'Uganda», racconta Edie
Mukiibi. «Nel mio
Paese oltre l’85 per cento degli agricoltori produce su piccola
scala. Permettere la distruzione delle conoscenze indigene attraverso
politiche sfavorevoli ai piccoli produttori e attraverso il land
grabbing sistematico
da parte di Stati stranieri e multinazionali significa farci perdere
memoria e tradizioni».
Francisco
Melo Medeiros è un
brasiliano del Nordest. «Un giorno decisi di scambiare due galline
per la mia prima arnia di api jandaira.
Quell’anno le api mi diedero mezzo litro di ottimo miele, ma poi
durante la stagione secca scapparono. Decisi di imparare a
prendermene meglio cura con l’aiuto di alcuni anziani apicoltori
che mi hanno trasmesso il mestiere e la passione». Ora Francisco
segue il metodo biologico e produce il miele delle tipiche api senza
pungiglione.
La Lombardia intera s'è mobilitata per accogliere i
partecipanti di Terra Madre giovani. Molte le personalità che hanno
deciso di aprire casa loro, da Roberto
Vecchioni e Lella
Costa a Dario
Fo, Antonio
Albanese e Gad
Lerner. Sfogliando
gli elenchi si scopre che solo le famiglie milanesi hanno messo a disposizione 300 posti letto; tanti, poi, quelli assicurati dalle famiglie dell'hinterland, da quelle di Bergamo e dele altre province, per tacere dei posti
messi a disposizione dal Comune di Milano e da altre amministrazioni
locali. Molti hanno risposto all'appello
della Diocesi ambrosiana:
singoli nuclei familiari, parrocchie, oratori, gruppi scout. C'è
chi, infine, s'è mobilitato in maniera autonoma, perché ha sentito
che era giusto farlo. Così Alessandro
Monaco, classe
1963, che abita a Varedo (Monza-Brianza) con sua moglie e una figlia
di 17 anni. «Siamo soci Slow Food, c'è piaciuto tantissimo l'Expo,
ci appassiona la riflessione sul cibo e sul chi lo produce. Parliamo
inglese, francese e tedesco: abbiamo dato disponibilità a ospitare
due persone». Così anche Adriana
Cambon, classe 1946,
che vive a Gazzada (Varese) con suo marito. «Abbiamo tre figli ormai
adulti e fuori casa. Siamo abituati accogliere amici nostri e loro
provenienti da tutti gli angoli del pianeta, togliendocela con
l'inglese. E' la prima volta che aderiamo a un'iniziativa così
strutturata. Condividendone spirito e finalità ci siamo detti:
vogliamo fare la nostra parte».