Le storie di Donatella Di Pietrantonio sono radicate nella sua terra, l’Abruzzo, dove ancora ci sono paesi in cui non si è perso il legame con i campi, le bestie, le montagne. E dove tre generazioni si trovano a vivere dimensioni parallele: i vecchi arroccati al passato, le donne di mezza età in bilico tra quel che resta della tradizione dei padri e delle madri e le sirene della modernità. Poi ci sono i giovani, che rinnegano tutto per trovare la forza di andarsene, salvo poi, nei momenti di crisi, tornare. Come accade ad Amanda che, dopo essere andata a Milano all’università, complice il lockdown rientra nella casa della madre, smette di studiare, dorme tutto il giorno. A Lucia, un lavoro da fisioterapista e una separazione recente dal marito, quella figlia spenta, che si lascia andare, che non riconosce più, fa ripensare alla sua giovinezza. E la memoria corre a un'estate di trent’anni prima, quando nei boschi limitrofi, in località Dente del Lupo, accadde una tragedia: due sorelle modenesi che erano lì in vacanza furono uccise da una maniaco e una terza ragazza, la migliore amica di Lucia, fu ritrovata ferita e segnata per sempre da quella notte di orrore. La fragilità dei vent’anni può esprimersi in molti modi e le tragedie possono essere improvvise, oppure striscianti, come quella che sembra abitare nel cuore di Amanda, forse la conseguenza di un’aggressione subita una sera a Milano. Così come la distanza tra genitori e figli può diventare incolmabile, malgrado tutto l’amore, espresso goffamente come hanno fatto i genitori di Lucia con lei, o più generoso e gratuito, come la donna crede sia stato il suo per Amanda. Ma fino a quando una madre deve prendersi cura dei figli, e quando bisogna lasciarli andare anche se si fanno male? Ci sono tanti temi in questa storia, forse troppo breve per permettere a tutti i nodi narrativi di sciogliersi, come se, come è già accaduto per il fortunato romanzo L’arminuta, i personaggi fossero destinati a un secondo romanzo. Malgrado l’impressione di una certa incompiutezza resta la forza di una prosa molto personale, che non teme di usare l’italiano in modi inconsueti, che offrono immagini vivide di paesaggi e sentimenti.