Vito
Angiuli è vescovo della diocesi di Ugento – Santa Maria di Leuca,
nel Salento, dal dicembre 2010. Ha 62 anni e ha preso posizioni
coraggiose contro le trivellazioni alla ricerca di petrolio nel mare
Adriatico. Sull'affaire Xylella ha organizzato nella scorsa Quaresima
una Via Crucis per sostenere i contadini colpiti e denunciare il
“fango degli interessi” che deturpano le terre di Puglia. Ha
intitolato il documento pastorale che delinea il percorso della sua
diocesi per i prossimi anni “Educare a una forma di vita
meravigliosa”. È una frase tratta dalla Lettera a Diogneto che
delinea, scrive Angiuli, una spiritualità «non di tipo monastico,
ma di ispirazione “laica”: una proposta che invita a stare dentro
i processi mondani, facendosi carico della loro imperfezione per
sanare le ferite sociali con un'irreprensibile condotta di vita».
È
il compito che è chiamato a svolgere ora che è stato nominato
presidente della Commissione della Cei sul laicato. Un incarico
delicato dopo la “scossa” di papa Francesco che aprendo i lavori
dell'assemblea dei vescovi ha detto che i laici non «devono
aver
bisogno
del vescovo-pilota, o del monsignore-pilota o di un input clericale»
per svolgere la propria missione nella Chiesa.
Eccellenza,
quale sarà l’impegno della sua Commissione per rafforzare il ruolo
e le responsabilità dei laici nella vita della Chiesa?
«La
programmazione dell’attività della Commissione nei prossimi anni
sarà stilata sulla base di un dialogo con gli altri Vescovi che
fanno parte della Commissione e dopo aver ascoltato la Consulta
Nazionale delle Aggregazioni Laicali. Per parte mia, ritengo che
l’impegno della Commissione sarà orientato a rafforzare il ruolo e
la responsabilità dei laici soprattutto in riferimento alla missione
della Chiesa nel mondo. In sintonia con l’insistenza di Papa
Francesco ad “uscire”, sono convinto che la Commissione
episcopale sottolineerà la necessità di una missione dei laici a
tutto campo. Un tale compito, poi, dovrà incrociarsi con le
programmazioni delle altre Commissione episcopali in vista di un
comune indirizzo pastorale. Non si può camminare da soli o in ordine
sparso. Il soggetto è l’intera Chiesa italiana, non la singola
Commissione. Per questo è necessario agire con uno stile sinodale.
In questa prospettiva, la Commissione avrà anche il compito di
promuovere una maggiore convergenza tra le diverse forme ed
espressioni del laicato organizzato: associazioni, movimenti, gruppi
ecclesiali. Inoltre, dovrà tenere conto del fatto che vi sono molti
laici che non fanno parte di nessuna realtà organizzata. In
Evangelii
gaudium
Papa Francesco scrive: “I laici sono semplicemente l’immensa
maggioranza del popolo di Dio” (EG 102). Questi christifideles
sono un tesoro prezioso per la Chiesa, soprattutto se si considera
che la missione non consiste nell’organizzare “eventi”, ma nel
testimoniare la propria fede in Cristo nella vita ordinaria con un
stile semplice e gioioso».
Papa Francesco apre i lavori dell'assemblea della Cei
Il
Papa ha detto che i laici «non dovrebbero aver bisogno del
vescovo-pilota, o del monsignore-pilota o di un input clericale per
assumersi le proprie responsabilità a tutti i livelli, da quello
politico a quello sociale, da quello economico a quello legislativo».
Cosa significa?
«Bisogna
riconoscere che papa Francesco è un grande comunicatore. L’immagine
del “vescovo-pilota” è fortemente evocativa e richiama in modo
accattivante la dottrina conciliare: il vescovo è un padre e un
pastore non il comandante in capo di un aereo o l’amministratore
unico di un’azienda; i laici esplicano la loro responsabilità in
forza del Battesimo e della Confermazione che hanno ricevuto e non
per una “concessione” calata dall’alto. Naturalmente tutti,
vescovi e laici, devono acquisire quella “sensibilità ecclesiale”
più volte richiamata dal Papa nel suo discorso. Essi devono agire
mossi dal “sentire
cum Ecclesia”».
Può
fare un esempio concreto di “vescovo-pilota”?
«“Vescovo-pilota”
può voler dire un ministro ordinato a cui fa difetto la sensibilità
ecclesiale. Ed è proprio su questo tema che vorrei soffermarmi.
Qualche anno fa, ho letto con interesse il libro di Alejandro Llano,
La
nuova sensibilità. Il positivo della società moderna.
Nel suo saggio, l’autore sostiene che, nel passaggio dalla
modernità alla postmodernità, occorre considerare il cambiamento di
“sensibilità” e guardare con più ottimismo le trasformazioni
non avendo paura della “società complessa”. La “nuova
sensibilità”, a suo giudizio, consiste nella capacità di cogliere
il senso unitario di costellazioni culturali contemporanee. Alle
sfide poste dalla “competenza tecnica” occorre rispondere con una
rigorosa “competenza culturale”. Un uguale interesse ha suscitato
in me la lettura del libro di Annalisa Caputo, Heidegger
e le tonalità emotive fondamentali (1929-1946).
Il libro rappresenta la continuazione di una riflessione avviata con
il precedente saggio, Pensiero
e affettività: Heidegger e le 'Stimmungen' (1889-1928). L’autrice
ricostruisce la "svolta" heideggeriana a partire dal tema
delle tonalità emotive fondamentali (perplessità, incanto, noia,
entusiasmo…). Parlando di “sensibilità ecclesiale”, credo che
papa Francesco voglia sollecitare la Chiesa a tenere conto che il
dialogo e il confronto con il mondo moderno si gioca non solo sul
piano teorico-pratico, ma anche su un “rapporto empatico e
simpatico” con gli uomini del nostro tempo. Questa capacità
emotiva non si risolve sul piano emozionale, ma sul reciproco
ascolto. Avere “sensibilità ecclesiale” vuol dire mettersi in
sintonia con la Chiesa per un proficuo dialogo con il mondo. Mi
sembra che la parole del Segretario di Stato, il cardinale Pietro
Parolin, in una recente intervista colgano nel segno: “Dobbiamo
farci prossimi di ogni persona. Dobbiamo essere degli accumulatori
dell’Amore di Dio”. Ogni cristiano dovrebbe possedere questa
tonalità emotiva fondamentale per vivere la sua missione nel mondo.
A maggior ragione, essa non dovrebbe mancare ai vescovi, in quanto
pastori del popolo di Dio».
Dopo
la fine della Democrazia cristiana gli ultimi anni sono stati
contrassegnati da una certa “supplenza” da parte delle gerarchie
nei campi indicati dal Papa?
«La
sua domanda contiene una parte di verità. Non vi è dubbio che
questi anni siano stati caratterizzati da una certa “supplenza”
del clero rispetto ai laici. Il fenomeno dovrebbe essere
adeguatamente studiato. A mio parere, un elemento non secondario
(anche se non l’unico) consiste nel fatto che le nuove questioni
poste dalla cultura contemporanea esigono una solida preparazione
culturale e una robusta maturità di fede. Non è facile per nessuno
affrontare quelle sfide culturali che il Papa ha definito
“colonizzazioni ideologiche” che tolgono l’identità e la
dignità umana. Non è nemmeno una cosa semplice contrastare i
modelli alternativi proposti dalla cultura contemporanea e
pubblicizzati con grande enfasi dagli strumenti della comunicazione
di massa. La risposta non può essere affidata solo al singolo. Su
alcune questioni fondamentali occorre creare un movimento di pensiero
e di azione il più ampio e più convergente possibile. In altri
termini, le questioni che riguardano tutti, dovrebbe essere prese in
carico da tutti e non lasciate a qualche intervento individuale e
isolato di un ministro ordinato o di un laico».
L’appannamento
del ruolo del laicato è dovuto anche al fatto che negli ultimi
decenni la Chiesa ha faticato a formare nuove generazioni di persone
che si impegnassero nella società portando le istanze della Dottrina
sociale?
«Il
tema di una formazione adeguata ad affrontare le sfide del mondo
contemporaneo riguarda tutti i membri della Chiesa. Per questo la
Chiesa italiana sta riflettendo anche sull’iter
formativo dei presbiteri. La ri-forma
della Chiesa esige che tutti i credenti in Cristo assumano una “nuova
forma”.
Per quanto riguarda i laici, a me sembra che si dovrebbero tenere
presenti quattro aspetti della formazione cristiana: una solida
formazione spirituale, un’accurata preparazione culturale,
un’apertura alle questioni sociali e una specifica disponibilità a
farsi carico dell’impegno politico».
Secondo
lei, anche i laici hanno peccato di eccessiva “clericalizzazione”
, rafforzando il modello del “vescovo-pilota” denunciato dal
Papa, andando magari a chiedere benedizioni o coperture
ecclesiastiche, anche dietro le quinte, ai loro progetti e
iniziative?
«Il
rischio del clericalismo è sempre in agguato. In Evangelii
gaudium
Papa Francesco scrive: “La presa di coscienza di questa
responsabilità laicale che nasce dal Battesimo e dalla Confermazione
non si manifesta nello stesso modo da tutte le parti. In alcuni casi
perché (i laici) non si sono formati per assumere responsabilità
importanti, in altri casi per non aver trovato spazio nelle loro
Chiese particolari per poter esprimersi ed agire, a causa di un
eccessivo clericalismo che li mantiene al margine delle decisioni”
(EG 102). Occorre che i chierici e i laici abbiano chiaro il senso e
il valore della propria identità e della conseguente specifica
responsabilità che essa comporta nella vita della Chiesa e nella
missione nel mondo».
All’assemblea
della Cei si è parlato del Sinodo sulla famiglia con la consegna
della sintesi delle risposte delle diocesi italiane. Cosa è emerso?
«Occorre
innanzitutto rilevare che vi è stata una grande partecipazione delle
comunità cristiane. Il Questionario
ha rappresentato una nuova occasione di ascolto, di confronto
fraterno custodendo lo sguardo sul Vangelo
della Famiglia.
In molte Chiese locali sono stati coinvolti i consigli pastorali
diocesani, gli uffici di curia, le consulte delle aggregazioni
laicali, i gruppi famiglia, gli animatori dei percorsi per i
fidanzati e le giovani coppie. In questo “discernimento
comunitario” sono state molte le sottolineature in ambito teologico
e pastorale. Richiamo le più significative: la famiglia come
“piccola Chiesa domestica”, il raccordo tra sacramento
dell’ordine e sacramento del matrimonio, l’adozione di una
famiglia da parte di un’altra famiglia, l’attenzione alle
situazioni di fragilità in ambito familiare, il confronto con le
nuove “colonizzazioni ideologiche”. Il risalto dato dalla Chiesa
italiana a queste questioni mi sembra un buon viatico per la
riflessione che si realizzerà nel prossimo Sinodo».