«Nella vecchiaia daranno ancora frutti». È stato reso noto lo scorso 15 febbraio dal Dicastero per i laici, la famiglia e la vita il tema della 2a Giornata mondiale dei nonni e degli anziani voluta da papa Francesco e che si celebrerà in tutta la Chiesa domenica 24 luglio. La citazione è tratta dal salmo 92, pregato nel culto sinagogale del sabato, la grande festa settimanale degli ebrei in cui la comunità loda Dio con canti e musica per il suo amore e la sua fedeltà.
E chi più degli anziani può lodare Dio per i doni ricevuti e per gli ostacoli superati? Chi più di loro può rendere ai giovani testimonianza della bellezza della vita, nonostante, ma anche grazie, a tutto quello che hanno affrontato e vissuto in tanti anni di cammino? Ne è convinto lo stesso Dicastero quando, nel comunicato diffuso, ricorda che il tema scelto «è un invito a riconsiderare e a valorizzare i nonni e gli anziani troppo spesso tenuti ai margini delle famiglie, delle comunità civili ed ecclesiali». La loro esperienza di vita e di fede, infatti, «può contribuire a edificare società consapevoli delle proprie radici e capaci di sognare un avvenire più solidale» secondo una linea passato-presente-futuro che da sempre funge da guida per chi scrive la storia del mondo, cioè ognuno di noi.
Una società più umana si costruisce a partire dalle relazioni. Parlarsi, ascoltarsi, guardarsi, toccarsi, “perdere” tempo con l’altro senza altro scopo che semplicemente lo starci insieme. Le potenzialità che stanno dentro a questa grammatica dell’umano, che ha come fondamento la gratuità e che ciascuno di noi comunemente sperimenta nei rapporti di amicizia, vicinato, parentela, in parrocchia o, magari, in questo tempo di pandemia persino in videochat, sono ancora più evidenti quando si entra in relazione con le persone anziane.
Il loro patrimonio di esperienza, fatto di storia (civile, politica, locale) e di storie (personali, familiari, semplicemente umane), ci apre alla ricca e misteriosa dinamica della narrazione, che sai da dove parte ma non sai mai dove arriva, e alla logica del dono, fatto e ricevuto. La parola pronunciata è sempre performativa, per chi l’ascolta ma anche per chi la pronuncia. Per il primo è generativa, apre orizzonti, provoca, evoca, invoca, convoca. Per il secondo essa chiarisce e struttura, proprio nell’atto di essere verbalizzata la realtà che esprime. Raccontandomi capisco di più di me stesso. Da dove cominciare, dunque, per favorire il dialogo tra le generazioni? Lo dirà in ogni situazione quella “fantasia della carità” che è generata dallo Spirito Santo nel cuore di ognuno di noi che a quel dialogo è convocato. Avendo presente un fattore a cui accenna Fabrizio Fantoni nell’intervista a pag. 34 sul tema della cosiddetta “emergenza educativa”: la consapevolezza che nel dialogo ci si feconda a vicenda.