Papa Sisto V, primo organizzatore della curia nel 1588.
La storia della Curia romana è sostanzialmente quella della sua riforma. Collaboratori un Papa ne ha sempre avuti, ma con precise competenze, cioè deleghe, si direbbe per uno Stato, distribuite e strutturate in diversi organismi e dicasteri.
La prima volta lo fa papa Sisto V, considerato il primo organizzatore della Curia romana nel 1588 con la Costituzione Immensa Aeterni Dei. Ciò non significa che prima non esistesse qualcosa di simile. La Curia papale c’era, ma era un insieme di uffici che si occupavano di governare la diocesi di Roma e insieme la Chiesa universale. Invece chi aiutava il Papa erano i cardinali e il Collegio dei cardinali, che dal Concilio Lateranense III aveva acquisito il diritto di eleggere il Papa. Sisto V decide di organizzare meglio le cose e stabilisce che vi siano 15 “collegi” all’interno dell’unico Collegio cardinalizio, formati da cardinali, nominati per un periodo definito e competenti per materie. Nascono così i primi 15 dicasteri.
Dal 1588 la struttura della Curia rimane praticamente la stessa. Per quattro secoli nessun papa mette mani alla Curia. Poi Pio X se ne occupa con la Costituzione Sapienti Consilio del 1910, che tuttavia premette il giudizio altamente positivo su quello che fece Sisto V. Pio X riordina, perché il mondo e la Chiesa in quattro secoli sono cambiati. Ma non ne stravolge il significato e la Curia resta l’insieme degli organismi di cui il Papa si serve per trattare gli affari della Chiesa universale. Le congregazioni della riforma di Pio X sono 12, tre i Tribunali e quattro gli Uffici, tra cui la Segreteria di Stato.
Da allora sulla Curia romana si sono rincorse le riforme: due in quattro secoli e ormai quasi tre in appena 45 anni. Paolo VI mette mano alla riforma della Curia appena dopo il Concilio, con la Costituzione Regimini Ecclesiae Universae del 1967. Durante il Concilio non erano mancate voci di critica alla Curia romana e dopo il Concilio aveva preso il via un dibattito perfino sulla necessità o meno della Curia romana. Nei documenti conciliari l’eco delle critiche non si sente quasi per niente se si eccettua un riferimento nel decreto Christus Dominus nel quale ad un certo punto si esprime il desiderio che i dicasteri vengano riorganizzati anche per “il metodo di lavoro e il coordinamento delle loro attività”.
E’ solo un accenno, ma si coglie una certa critica per come la Curia aveva lavorato fino ad allora ed è la stessa critica che molti vescovi hanno riproposto negli ultimi anni, denunciando che la Curia a volte si mette di traverso tra i singoli vescovi e il papa. Paolo VI vuole riformare la Curia in linea con il Concilio, in aderenza alla sua ecclesiologia, mettendo in luce la collegialità e la responsabilità di tutti i fedeli ed evidenziando il ruolo di una Curia a servizio delle Chiese particolari. Non è dunque solo un riordino burocratico, ma una messa punto del ruolo del Magistero e del governo. Accanto ai Dicasteri istituisce i Segretariati, assegna alcuni vescovi diocesani a membri dei dicasteri e istituisce un coordinamento tra i dicasteri, cioè la riunione di tutti i cardinali prefetti convocata dal Segretario di Stato. Per evitare il carrierismo stabilisce in 5 anni, rinnovabili, la permanenza a capo di un Dicastero.
Montini introduce poi l’amministrazione dei beni temporali della Chiesa. I dicasteri della riforma di Montini sono nove e poi tre Segretariati, poi c’è Il Consiglio per i laici e la Pontificia Commissione Iustitia et pax. Cambia anche il titolo dell’ex-Sant’Uffizio da cui scompare l’aggettivo “Suprema” davanti alla Congregazione della dottrina della fede. Paolo VI continua con altre innovazioni, tra cui nel 1970 la costituzione della Pontificia commissione per la pastorale dei migranti. Ma stabilisce anche che la sua Costituzione sulla Curia venga monitorata da una Commissione, per vedere se tutto funziona bene o c’è bisogno di qualche aggiustamento.
I lavori di questa commissione dureranno anni e il dibattito sarà molto ampio anche con la consultazione delle Conferenze episcopali. Wojtyla ne vede i risultati e arriva alla conclusione che occorre un nuovo testo. Nasce così la Pastor Bonus, seconda riforma in vent’anni. Il Papa ha una preoccupazione che è la principale novità della sua Costituzione e cioè quella di giustificare dal punto di vista teologico la Curia romana, cosa che prima non si era quasi mai posta. La tradizione infatti non assegna alla Curia alcuna configurazione di diritto divino, ma solo di essere strumento.
La Pastor Bonus al punto 3 spiega infatti che la “Curia è sorta per un solo fine: rendere sempre più efficace l’esercizio dell’Ufficio universale di Pastore della Chiesa”. E poi al numero 7 aggiunge che benché “non faccia parte della costituzione essenziale voluta da Dio della Chiesa, ha tuttavia un carattere profondamente ecclesiale, poiché trae dal Pastore della Chiesa la propria esistenza e competenza”. Quindi precisa che i vescovi di tutto il mondo sono “i primi e principali beneficiari della sua opera”. La funzione della Curia inoltre ha il carattere di vicarietà, cioè “non agisce per proprio diritto, né per propria iniziativa”, ma esercita “la potestà ricevuta dal Papa”. Ecco perché un papa può riformare, modificare o addirittura abolire la Curia romana.
Sono passati quasi 27 anni dalla Costituzione di Karol Wojtyla e intanto la riflessione sulle varie forme di esercizio della potestà è andata avanti e, soprattutto negli ultimi anni, si è molto approfondita, anche con le sollecitazioni del pontificato di Benedetto XVI, la riflessione sulla crisi e le difficoltà dovute anche ad un esercizio non perfettamente in linea con il Vangelo del potere nella Chiesa. Ecco dunque che molti hanno espresso il desiderio di un'altra riforma, sempre in linea con il Concilio, riguardo alla collegialità e alla sinodalità. E Bergoglio l’ha colta.