Se il mondo conta 868 milioni di persone che non hanno abbastanza cibo e 1,5 miliardi che invece sono obese o in sovrappeso, allora i paradossi del sistema alimentare vanno stanati e affrontati. E' quanto si è fatto negli ultimi due giorni all'università Bocconi di Milano, all'interno del 4° Forum internazionale su alimentazione e nutrizione, organizzato dal Barilla Center for Food & Nutrition, con la presenza di oltre sessanta relatori provenienti da tutto il mondo, rappresentanti della scienza, della filosofia, delle istituzioni, delle imprese e del terzo settore.
I paradossi non finiscono qui, perché un miliardo di persone è senza acqua e, mentre l'agricoltura nel suo complesso è diventata efficiente come mai prima d'ora, un terzo della produzione alimentare mondiale va sprecata: ogni anno si perdono 1,3 miliardi di tonnellate di cibo. Secondo la Fao, nei Paesi in via di sviluppo succede perché mancano i mezzi di trasformazione e conservazione delle derrate alimentari. Nelle nazioni ricche, invece, lo spreco avviene all'interno delle famiglie. Per rimanere in Italia, ogni anno buttiamo nella spazzatura 6,6 milioni di tonnellate di cibo, una media di 146 chili a testa.
In linea teorica, l'attuale sviluppo del sistema alimentare mondiale permetterebbe di sfamare tutti gli abitanti del pianeta, ma gli squilibri della realtà rendono possibili milioni di morti per fame e malnutrizione, un impoverimento legato all'instabilità dei prezzi delle derrate alimentari e, in contemporanea, 263 miliardi di euro spesi in Europa ogni anno dai sistemi sanitari per curare le conseguenze dell'obesità (in Italia sono 22 miliardi) e 227 miliardi di dollari negli Stati Uniti.
Obesità e sovrappeso sono considerate le epidemie del futuro, con conseguenze molto serie sulla salute degli individui. Il fatto che sempre più Paesi emergano dalla povertà e procedano verso un benessere diffuso, rischia di rappresentare per i loro cittadini un fattore non completamente positivo, sul piano sanitario e dell'ambiente globale, se diffonderà in tutto il mondo le pessime abitudini alimentari americane. Ormai è provato che troppa carne, troppi grassi, troppo zucchero costituiscono alla lunga dei veleni. Ed è altrettanto chiaro che i cibi che fanno peggio alla salute fanno male anche all'ambiente, perché derivano da produzioni più inquinanti.

Nella "due giorni" del 4° Forum internazionale su alimentazione e nutrizione, relazioni, convegni e tavole rotonde hanno alternato riflessioni e indicazioni di strategie possibili per superare i paradossi dell'alimentazione nel mondo. Con personalità come il professor Umberto Veronesi e il ministro della Salute Renato Balduzzi e Dan Glickman, ex segretario all'Agricoltura degli Stati Uniti.
Il Barilla Center for Food & Nutrition è stato creato nel 2009 dall'azienda di Parma con lo scopo di analizzare i grandi temi dell'alimentazione e della nutrizione nel mondo con un metodo interdisciplinare, che includa anche i fattori economici, scientifici, sociali e ambientali. Oltre al Forum internazionale, quest'anno ha pubblicato Eating Planet 2012, un libro realizzato in collaborazione con il Worldwatch Institute ed edito da Edizioni Ambiente e che ha come tema centrale la necessità di ripensare radicalmente il sistema alimentare mondiale. Tra gli esperti che vi hanno contribuito, citiamo Vandana Shiva, Raj Patel, Mario Monti, Carlo Petrini, Shimon Peres.
Nel mondo, 155 milioni di bambini e ragazzi in età scolare (tra i 5 e i 17 anni) sono obesi o sovrappeso: uno su dieci. E' un problema che sta conoscendo una crescita esponenziale, in primissimo luogo nei Paesi occidentali. Negli Stati membri dell'Unione europea, circa 400 mila bambini sono considerati sovrappeso e oltre 85 mila obesi. E l'Italia? Negli ultimi anni, un'indagine del ministero della Salute condotta coinvolgendo oltre 42 mila alunni di terza elementare e 44 mila genitori, ha dato risultati preoccupanti: il 22,9% dei bambini esaminati è risultato in sovrappeso e un altro 11,1% in condizioni di obesità. Con differenze molto marcate a seconda delle regioni e percentuali in genere più alte in quelle meridionali. Per citare gli estremi, dal 15% della Provincia autonoma di Bolzano si passa al 48% della Campania.
L'obesità infantile non va sottovalutata, perchè spesso tende a permanere per tutta la vita, con serie minacce per la salute in età adulta, ma anche per le conseguenze fisiche e psicologiche che può comportare già nell'infanzia e nell'adolescenza: difficoltà motorie e rischi per lo scheletro, bassa stima di sè, isolamento sociale. Se in generale sappiamo tutti che mangiare troppo e male e muoversi poco conduce ai chili di troppo, pochi o tanti, non è altrettanto facile adottare stili di vita più salutari. "L'Organizzazione mondiale della sanità sostiene che viviamo in ambienti che favoriscono l'obesità. E' importante averne consapevolezza, per trasmettere ai figli un messaggio educativo più sano", ha sostenuto Gabriele Riccardi, professore di Endocrinologia e malattie del metabolismo all'università Federico II di Napoli, durante il Forum internazionale organizzato a Milano.
Vediamo alcuni fattori dei nostri mondi "obesogeni". Da metà degli anni '80 è esploso il consumo di bibite zuccherate; gli snack fuori casa salati, dolci, fritti tendono a costare meno dei sanissimi cereali, verdura e frutta; le nostre case lontane dalle scuole tolgono una possibilità in più di fare moto; tivù e computer utilizzati per ore sono forzatamente divertimenti sedentari. Mentre gli esperti consigliano almeno un'ora al giorno di moto per i giovanissimi. "La colpa del peso è addossata a scelte della persona", ha considerato ancora il professor Riccardi, "ma molti condizionamenti sono di tipo ambientale. Alcuni prodotti, come ad esempio i dolciumi per bambini, per il fatto di essere posizionati vicino alle casse dei supermercati, vengono acquistati molto di più. Anche alcune forme di pubblicità colpiscono il percorso emozionale dei bambini. Non si può intervenire con l'accetta, ma bisogna fare una riflessione complessiva".
La prevenzione del sovrappeso infantile e giovanile attraverso abitudini più sane passa attraverso la famiglia, la scuola, i pediatri. "E' più facile prevenirlo che trattarlo, perché le abitudini acquisite sono difficili da sradicare", ha osservato Gabriele Riccardi. Esperimenti sono in corso in varie parti d'Europa, Italia compresa. Come la distribuzione di frutta nelle scuole per merenda, il tenere le palestre scolastiche aperte oltre l'orario delle lezioni, gli accordi con industrie agro-alimentari perchè offrano prodotti adeguati e ne facciano una pubblicità responsabile. Le stesse istituzioni europee stanno facendo molto ai fini dell'informazione all'opinione pubblica e della trasparenza sulla composizione dei cibi confezionati. Essere informati non basterà a risolvere i problemi. Però aiuta.
Federica Marra è una giovane romana di 26 anni che studia all'università di Leiden, nei Paesi Bassi. Ha creato un progetto sull'alimentazione sostenibile che si rivolge ai giovani di tutto il mondo. Prevede che i partecipanti creino veri e propri orti urbani, coltivando, conservando, preparando e vendendo prodotti alimentari. I loro campi possono esere terrazzi, finestre coltivabili, pareti verdi di piante commestibili, in strutture che provvedano contemporaneamente al proprio approvvigionamento di energia e acqua e allo smaltimento dei rifiuti. I giovani cucineranno per sè i prodotti e venderanno gli eccessi nei negozi locali, nei mercati cittadini e sul web.
Lo scopo di Federica Marra è quello di incoraggiare un comportamento responsabile nei confronti dell'ambiente e di creare una filiera corta tra produttori e consumatori, sostenendo la produzione locale. L'originalità e la modernità dell'idea le hanno fatto vincere, fra 3.000 studenti di tutto il mondo, il premio "YES!" (Young Earth Solutions), che il Barilla Center ha assegnato in occasione del Forum su alimentazione e nutrizione.
La filiera corta nella produzione del cibo rappresenta una delle soluzioni agli squilibri attuali anche secondo l'americana Ellen Gustafson, che nel 2009 la rivista Fortune inserì nella lista delle imprenditrici più importanti e innovative al di sotto dei 30 anni. Oggi, a 32 anni, è già stata una delle fondatrici di "Feed Project", una società che produce borse e maglie di grande successo e, con i profitti, ha fornito finora 65 milioni di pasti scolastici a bambini in tutto il mondo. Inoltre, due anni fa ha creato un "pensatoio" non profit, il "30 Project", per indagare come mai negli anni '80 siano iniziate ad aumentare sia l'obesità sia la fame, e per impostare una riflessione sui prossimi 30 anni per invertire queste tendenze.
"Negli anni '80, le conseguenze della crisi petrolifera del decennio precedente hanno spazzato via molti agricoltori americani ed europei, e la produzione agroalimentare si è concentrata nelle mani di grandi gruppi multinazionali", ci ha detto durante il Forum a Milano. "Negli stessi anni, si sono avuti i primi brevetti sugli Ogm. Gli Stati hanno smeso di finanziare la ricerca in agricoltura. Sono stati ridotti, specie da parte degli Usa, gli aiuti agli agricoltori africani e sono stati sostituiti con aiuti alimentari. E' arrivato sul mercato lo sciroppo di mais, e sia Coca sia Pepsi lo hanno sostituito allo zucchero nelle loro bevande. Una serie di fattori che secondo me possono spiegare" il paradosso alimentare del binomio obesità-fame.
E per i prossimi 30 anni, che cosa auspica Ellen Gustafson? "Io ritengo che ci sia bisogno di un vero libero mercato e di un vero sistema capitalistico in campo alimentare. L'agricoltura è fortemente sussidiata dappertutto, ma i sussidi vanno alle coltivazioni sbagliate, e non a quelle che magari i consumatori vorrebbero. Bisognerebbe eliminare questi sussidi, per permettere agli agricoltori di diventare imprenditori. Inoltre, andrebbero incoraggiati i sistemi alimentari regionali, e in questo l'Europa ha già fatto meglio degli Usa. Concentrarsi sulle colture locali sviluppa maggiormente le economie regionali e permette una dieta più sana, più varia e più adatta alle realtà locali"
Non c'è dubbio che Ruth Oniang'o conosca bene i temi della nutrizione e della fame ed è altrettanto indubbio che per tutta la vita, in varie vesti abbia fatto di tutto per fornire risposte utili e positive. Questa docente kenyana che sostiene "Un bambino affamato è uno di troppo; semplicemente, non è giusto", è laureata in Scienze alimentari e Nutrizione, ha insegnato all'Università a Nairobi ed è professore aggiunto alla Tufts University negli Usa.
E' stata membro del Parlamento, dove si è impegnata in modo particolare per alleviare povertà e fame, puntando anche sulla ricerca in agricoltura, la sicurezza alimentare, la salvaguardia delle biodiversità agricole. Dirige un giornale on line su questi temi, e vent'anni fa ha creato il Rural Outreach Programme (Rop), un'organizzazione non governativa che sostiene i piccoli agricoltori e in particolare le donne e i giovani.
"Volevo restituire alle comunità locali parte di ciò che avevo ricevuto da loro", ci racconta a Milano, durante il Forum sull'Alimentazione, a proposito di Rop. "Sostenere chi produce cibo nelle comunità significa sostenere le donne, perché sono loro che sfamano il Paese, la produzione alimentare in Africa è nelle loro mani. Le donne si occupano di tutte le famiglie e delle comunità, dimenticandosi spesso dei propri bisogni. Io volevo anche dar loro voce a livello nazionale e internazionale, aiutarle a far avanzare le loro esigenze".
"Aiutare le madri significa anche aiutare i bambini", continua Ruth Oniang'o. "Con Rop affrontiamo i problemi della gravidanza e conduciamo progetti di educazione alle madri per le cure di base ai neonati, come alimentarli, come curare le malattie prevenibili, perché applicare queste nozioni correttamente significa assicurare la sopravvivenza a più bambini. L'organizzazione si occupa anche degli orfani. Tanti sono orfani a causa dall'Aids, alcuni vivono con parenti o con vecchie nonne che non sono in grado di crescerli. Gli orfani rischiano di perdere le loro terre, e la mia organizzazione si occupa anche dei loro diritti. E li mandiamo a scuola dopo il ciclo delle primarie".
La professoressa Oniang'o ha le idee chiare sugli aiuti alimentari inviati in Africa: "Ne hanno bisogno chi non può produrre cibo: i profughi, gli agricoltori colpiti dalla siccità. Ma per altri sono dannosi perché generano dipendenza, cambiano i gusti tradizionali, e si produce meno sul posto. Che senso ha importare la pasta in Africa? Bisogna far sì che gli agricoltori producano da soli. Come si fa a costruire una nazione con gente che non produce niente? Parte del programma alimentare dell'Onu mira proprio a questo, a sostenere gli agricoltori locali incentivandoli a produrre, a vendere ai mercati sul posto e a generare così un ciclo alimentare locale".