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lunedì 09 settembre 2024
 
Cappellani militari
 

I preti, il Vangelo e le stellette

09/11/2015  Ritratto dei sacerdoti chiamati a testimoniare Cristo tra le forze armate e, qualche volta, a toccare con mano le atrocità della guerra. In Italia sono circa 160. Alcuni seguono i contingenti impegnati all'estero, altri prestano servizio nelle caserme. «Ma come può un sacerdote annunciare il Vangelo di un Gesù non violento se deve rispondere a una logica di comando?», si chiede don Sacco, coordinatore nazionale di Pax Christi.

Il Vangelo e le stellette, l'obbedienza alla Chiesa e le gerarchie militari, l'anelito alla pace e l'orrore dei conflitti. Esistono sacerdoti con una vocazione molto particolare. Sono chiamati a testimoniare Cristo tra le forze armate e qualche volta toccano con mano le atrocità della guerra. Sono i cappellani militari. Nel nostro Paese sono circa 160. Alcuni seguono i contingenti impegnati all'estero, dall'Afghanistan al Kosovo al Libano, altri prestano servizio nelle caserme italiane. In questi giorni il movimento Pax Christi (realtà da sempre in prima linea nella promozione della pace) ha deciso di incontrarli. Il confronto si è svolto nella Casa per la Pace di Firenze (un punto di riferimento per Pax Christi). E alla vigilia dell'apertura del Convegno Ecclesiale Nazionale (che si terrà proprio nel capoluogo toscano tra il 9 e il 13 novembre) l'appuntamento ha assunto un valore particolare. Pacifisti e militari insieme. L'intento non era certo quello di enfatizzare le innegabili diversità di vedute, ma al contrario di cercare un cammino comune, ciascuno con le proprie idee, sempre però a servizio della Chiesa.

All'incontro ha partecipato come relatore don Renato Sacco, coordinatore nazionale di Pax Christi. «Non mettiamo in discussione una presenza della Chiesa tra i militari» spiega a Famiglia Cristiana il sacerdote. «Il problema però è la militarizzazione dei cappellani». Va osservato, in effetti, che anche sul piano giuridico essi hanno un profilo specifico, diverso da quello degli altri sacerdoti. Sono preti, però sono anche militari. «Ora, gli ospedali e le carceri hanno i loro cappellani e in questi casi semplicemente vengono siglati accordi con le strutture di riferimento» rileva il coordinatore di Pax Christi «Perché non immaginare qualcosa di analogo? O perché non delegare la pastorale alle diocesi in cui si trovano le caserme?». Attualmente l'ordinariato militare, cioè l'organizzazione che coordina l'attività dei cappellani distaccati presso le forze armate, si configura come diocesi a sé stante. In quanto tale ha anche un suo seminario.

«Ma come può un sacerdote annunciare il Vangelo di un Gesù non violento se contemporaneamente deve rispondere a una logica di comando?» si chiede ancora don Sacco. «Come può un graduato (e nelle gerarchie i gradi contano) chiedere di disobbedire a un ordine, quando questo contrasti con l'etica cristiana? Secondo noi l'unico modo per risolvere questa contraddizione sarebbe liberare i cappellani dalla macchina militare». In estrema sintesi, «”signorsì” lo diciamo solo al buon Dio».

Ben diversa la posizione di don Enrico Pirotta, cappellano militare e direttore dell'Ufficio Pastorale sociale dell’Ordinariato Militare. Anch'egli ha partecipato, insieme con don Sacco, all'incontro di Firenze: è il segno di un'amicizia che dura da decenni, al di là delle divergenze d'opinione. «Noi cappellani siamo integrati nelle istituzioni militari perché questo è il nostro modo di esprimere vicinanza alle persone che quotidianamente accompagniamo. Siamo, è vero, vincolati dal giuramento di fedeltà all'istituzione, però non abbiamo alcuna potestà disciplinare. E soprattutto non portiamo armi». La necessità di una pastorale specifica giustifica, secondo don Pirotta, la presenza della diocesi castrense, «ma nel seminario si fa un percorso del tutto analogo agli altri, tant'è vero che non tutti quelli che lo frequentano poi diventano cappellani militari».

Quanto al delicato tema del rapporto tra Vangelo e armi «mi rendo conto che non potremo mai scrivere la parola fine» riflette il sacerdote, alla luce di trent'anni d'esperienza. «Le mediazioni, però, non sono tradimenti. Ciascuno di noi è chiamato a rispondere con retta coscienza e massima dedizione. E' impossibile fare distinzioni tra cristiani “puri” e altri che invece non possono seguire Gesù. Cristo infatti è vicino all'uomo in qualunque condizione si trovi. A un militare è chiesto di agire con retta intenzione e ferma coscienza. Chi opera nelle forze armate usa, è vero, la forza, ma rischia anche la vita per difendere i più deboli».

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