C’è un numero di telefono a Mantova che ascolta e accoglie con gentilezza le richieste di aiuto. È il Telefono Giovane un servizio del Centro di aiuto alla vita partito alle fine del 1997 da una riflessione sulle attività tradizionali del Cav (www.centroaiutovita.mantova.it). «Tante mamme che hanno i figli crescendo riscontrano delle difficoltà, ci siamo detti; e poi ci sono le maternità giovani, quelle che capitano quando sei ancora una ragazza. Ecco perché e come nasce il Telefono Giovane» spiega Maria Luisa Costa, vicepresidente del Cav Mantova e coordinatrice di Telefono giovane «sollecitati anche dall’allora assistente spirituale don Claudio Cipolla, oggi Vescovo di Padova, che ci ha spinto ad aprire questo spiraglio, questa porta alle persone. Ancora oggi a distanza di vent’anni si chiama “telefono giovane” anche se risponde alle esigenze di tutti».
L’attività più immediata allora sembrò quella di un centralino anonimo, con un numero verde nazionale. «Con il tempo il telefono è caduto in disuso e abbiamo creato un sito www.telefonogiovane.it, una pagina Facebook, una mail info@telefonogiovane.it e poi ci siamo dotati di un cellulare con 388.8989250 su cui arrivano soprattutto messaggi WhatsApp. Negli ultimi due o tre anni grazie ai giovani che passano da noi a fare servizio di volontariato o civile siamo anche su instagram».
Appena nato il servizio, da subito i volontari sono andati nelle scuole e negli oratori per farsi conoscere; «ci siamo formati sulle dinamiche adolescenziali, sui loro modi di comunicare un aggiornamento continuo che non finisce mai. Abbiamo attivato una serie di incontri esterni: per esempio i gemellaggi con i ragazzi di strada che ci hanno permesso di andare là, ma anche di ospitare realtà giovanili più in difficoltà. Oltre a una serie di progetti all’interno della legge regionale 23 con le scuole per la prevenzione dell’abbandono scolastico, contro a bullismo e cyberbullismo e sui temi dell’affettività e della sessualità».
Chi risponde al telefono? «Un gruppo di volontari adulti, io stessa ne faccio parte. Poi ci sono anche i giovani che vengono a fare volontariato o tirocini dalle università per educatori. Ma sempre in affiancamento perché ci sono telefonate anche molto delicate. Dinamiche delicate che sfiorano la patologia. Persone già seguite da psichiatri o in comunità, ma che chiamano perché qui trovano uno spazio di comunicazione intima in cui esprimere ciò che non riescono a dire in altri ambiti. Oltre a raccontarci le prime esperienze affettive, le relazioni familiari e la difficoltà di rapporto coi genitori quando non ci sono già violenze in atto; tantissimi chiamano per parlarci di identità sessuale. Molto meno di dipendenze. Molto spesso certe tematiche escono in un secondo momento perché prima serve capire chi c’è dall’atra parte e se ci si può fidare. Ecco allora lunghi silenzi, riagganci; ma poi richiamano, dicono di aver avuto paura. Gli approcci sono sempre guardinghi».
La disponibilità di ascolto è massima: «al cellulare rispondiamo dalle 16 alle 19; mentre su WhatsApp arrivano messaggi a tutte le ore, anche di notte. Sfoghi lunghissimi, dove spesso non ci sono richieste. Li ascolti e cerchi dei punti d’aggancio da cui partire. I sentimenti che per lo più animano i ragazzi sono sfiducia e mancanza di autostima. I grandi dolori sono legati alle delusioni familiari (il tradimento del padre verso la madre, aver scoperto che naviga su siti porno). Tanti di loro si sentono di dover fare da genitori al genitore».
Con la pandemia lo scenario si è aggravato; «sono aumentate le paure e la sfiducia e c’è maggior chiusura. Dall’altra, però, vengono più apprezzati i rapporti diretti, il dialogo. È quanto emerge anche dai ragazzi che incontriamo a scuola tra i 16 e i 19/20 anni. Soprattutto i più piccoli tra loro degli incontri esperienziali apprezzano di sentirsi ascoltati sul serio, che li guardi uno per uno e non parli d’altro. E di potersi ascoltare a vicenda riuscendo così a conoscere di più il compagno o l’amico nelle sue risorse. Tutto questo attraverso giochi di ruolo e attività anche corporee. Un momento prezioso anche per gli insegnanti, un’occasione per conoscere meglio i propri alunni. I prof ascoltano non intervengono, ma scoprono un sacco di cose».
Un numero nazionale quello del Telefono giovane; «chiunque ci può chiamare. Da qualsiasi parte d’Italia e di qualsiasi età. Uno spin off del Cav, sempre un grande aiuto alla vita. Perché si nasce, ma poi bisogna rinascere continuamente. Poi certo incontriamo anche tante giovani mamme: le ultime tre di 18 anni, di 17 e di 20 vittima di violenza con due bambini. Di fondo, però, con tutti cerchiamo di alimentare la consapevolezza di sé, l’autostima e il rispetto verso se stessi fondamentali anche per scegliere un domani la maternità, di dare la vita e per sostenere la scelta».
Un’opportunità per chi viene aiutato, ma anche per chi aiuta. «L’occasione per i ragazzi che fanno volontariato da noi di affrontare certe situazioni che creano un po’ di disorientamento certo, ma fanno crescere; dall’altra, l’opportunità di creare percorsi di consapevolezza di sé anche per chi viene aiutato. Cerchiamo di offrire qualche riferimento per la crescita perché i ragazzi oggi sono soli. Collegati col mondo e completamente soli. Ci si parla sempre virtualmente. Mentre serve coraggio anche solo per far sentire la propria voce uscendo dalla zona d’ombra del messaggio WhatsApp».