«Allora non c’erano psicologi che ti potessero aiutare a rielaborare l’orrore e il lutto, e quella visione, i corpi dilaniati dalle mitraglie, con gli animali che ne facevano scempio, e il dolore per i miei cari che non c’erano più, mi ha accompagnato per tutta la vita». Così parla Ferruccio Laffi, 93 anni, sopravvissuto all’eccidio di Marzabotto quando, 77 anni fa, tra il 29 settembre e il 5 ottobre del 1944, i nazisti, trucidarono 1830 civili. Aveva solo sedici anni e insieme a due fratelli si salvò nascondendosi nei boschi. In un’intervista pubblicata sul numero in edicola di Famiglia Cristiana rievoca quell’orrore in cui persero la vita gran parte dei suoi familiari.
Ricordi dolorosi che lo hanno segnato tutta la vita e che dopo decenni ha deciso di raccontare in un libro scritto da Margherita Lollini (Io, sopravvissuto di Marzabotto): «Soltanto mia moglie Sara sapeva, i miei colleghi di lavoro ignoravano quello che mi fosse successo, anche perché mi ero trasferito a Bologna, mentre in vecchiaia sono tornato a vivere a Marzabotto e dalla finestre di casa mia vedo ancora la collina in cui c’era la casa della strage».
Ebbe la forza di raccontare solo nel 2006: «Quando vennero a cercarmi per testimoniare al processo di La Spezia contro dieci ufficiali nazisti, che ovviamente non si presentarono alla sbarra, decisi di uscire allo scoperto. Il processo finì con dieci condanne all’ergastolo, e da allora ho rievocato quei momenti in eventi pubblici nelle scuole, nelle università, nei gruppi scout».