Quella per i Salmi? È una «ossessione». O meglio, un rapporto che dura da decenni. A parlarne è Davide Brullo, poeta e direttore della rivista Pangea, curatore del progetto del Salterio dei poeti che sarà presentato alla 21ª edizione del Festival Biblico di Vicenza. «Quando avevo 20 anni, a Milano, ho avuto come maestro Remo Cacitti, professore di Letteratura cristiana antica. Non avevo alle spalle studi classici e lui in qualche modo mi sfidò alla conoscenza dell'ebraico, la “lingua degli angeli”. Mi scontrai con un linguaggio che non mi ha più lasciato. Alcune parole erano intraducibili in italiano, provai esperimenti quasi folli. Così il mio primissimo libro fu una traduzione di dieci Salmi e di tre profeti minori». Questa sfida “fino all’ultima sillaba” Brullo l’ha voluta partecipare con altri poeti, chiamati anch’essi a confrontarsi con il Libro dei Salmi. I risultati saranno presentati al Festival, e non solo con un volume. Ci sarà uno spazio in cui i testi potranno essere ascoltati, e laboratori in cui i poeti condivideranno la propria esperienza.
Come è nata l’idea di questa “convocazione” plurale di poeti?
«Volevamo capire i rapporti tra il verbo contemporaneo e il Verbo biblico. In Italia abbiamo avuto sporadiche, luminose traduzioni dei Salmi – penso a David Maria Turoldo o Guido Ceronetti – ma mancava un lavoro complessivo che usasse i Salmi come una sorta di ascia dentro la letteratura contemporanea. Una convocazione del genere non è mai stata osata in Europa. È partita come una sfida e, mano a mano, si è costituito questo nucleo di 33 poeti».
Un numero denso di significato. Voluto o risultato casuale?
«La convocazione iniziale era stata più ampia. Ci è parso un segno provvidenziale. Non tutti si sono sentiti di partecipare a un’operazione che assembla poeti notissimi e altri ignoti, poeti cristiani e agnostici, poeti che hanno tradotto dall’ebraico e altri che si sono rivolti ad altre lingue. C’è chi ha tradotto un Salmo dalla versione seicentesca della Bibbia di re Giacomo. Altri dalla versione tedesca. Chi dal latino e chi dal greco. E c’è chi ha rifatto la versione italiana. Si è dispiegato uno spettacolare spettro delle possibilità traduttive e liriche insieme».
Ma si tratta di traduzioni o piuttosto di riscritture?
«La domanda coglie il senso. Non vogliamo sostituire la versione ufficiale della Cei, che va benissimo, ma gettare il poeta in uno spazio sacro: nel tempio. Però nel tempio c’è sia chi s’inginocchia a pregare sia chi rovescia il fonte battesimale. E così i poeti hanno agito con estrema libertà. C’è chi ha tradotto in maniera quasi esegetica, e chi si è lasciato trascinare dal Salmo in una direzione provocatoria per chi legge».
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(foto in alto: Istock)