Che san Pio e il beato Giacomo Alberione, fondatore della Famiglia Paolina, si fossero incontrati il 3 maggio 1965, è un fatto noto. Nessuno però ha mai chiarito il perché e che cosa effettivamente queste due grandi figure della spiritualità contemporanea si dissero in quella circostanza. Esiste tuttavia un testimone oculare di quell’insolito colloquio di oltre mezzo secolo fa, padre Teodorico Beniamino Ciannilli, 94 anni e una memoria invidiabile, che, per la prima volta, ci affida i suoi ricordi.
«All’epoca ero padre guardiano al Convento dell’Immacolata di Foggia e la nostra Provincia non viveva un momento felice. Si pensava che volessero sopprimerla. Padre Pio soffriva molto per quest’eventualità». Forse quindi potrebbe averne voluto parlare ad Alberione, molto vicino a Paolo VI. Ma anche don Giacomo aveva qualcosa su cui confrontarsi con il futuro santo: «Aveva in mente di costruire tre ospedali, uno per le religiose e l’altro per i religiosi della Famiglia che aveva fondato e un terzo per tutto il clero. Questo me lo confidò padre Angelico d’Alessandria, che era stato visitatore presso i Paolini e da allora aveva un dialogo privilegiato con Alberione. Forse voleva sapere bene quali scogli avesse affrontato la Casa Sollievo della sofferenza. Poi però il beato riuscì a costruire solo la clinica Regina Apostolorum ad Albano Laziale, dove fra l’altro io verrò poi curato per un problema alla prostata. Fu padre Angelico, che stava nel mio convento, a coinvolgermi nell’incontro».
Don Giacomo partì verso le sei del mattino sull’auto guidata da fratel De Blasio, e arrivò a Foggia dopo circa 4 ore. Nell’informare l’autista del loro viaggio per l’indomani, non aveva accennato né a San Giovanni Rotondo né a Padre Pio, ma solo a Foggia come meta finale e padre Angelico di Alessandria, come persona da incontrare. In più, secondo quanto riferito dallo stesso De Blasio, gli raccomandò di mantenere il massimo riserbo su quella “missione”. Giunti all’Immacolata, padre Alessio e padre Ciannilli, salirono sulla loro auto. «Mi ricordo», racconta padre Teodorico, «che Alberione per tutto il tragitto sino a San Giovanni Rotondo non disse neppure una parola. E non c’è da stupirsi, i santi parlano poco, e s’intendono alla perfezione fra loro. Noi, anche con un certo imbarazzo, pregammo nel silenzio, ognuno per conto suo. Arrivati nel convento di Padre Pio, chiedemmo di lui e accompagnammo l’illustre ospite nella sala vicina al refettorio dove era atteso». Prima del rendez vous era stato preparato un pranzo nel refettorio, ma Alberione non toccò quasi cibo, segno che aveva fretta di parlare con san Pio.
«Alberione, con atto d’umiltà, fece per baciare la mano coperta dal guanto del cappuccino stigmatizzato, ma lui la ritrasse, allora l’ospite gli si sedette accanto. Era evidente il rispetto che avevano l’uno per l’altro. Non so quanto esattamente parlarono: noi poi ci allontanammo e li lasciammo soli. Discussero almeno per una ventina di minuti. Poi Alberione e l’autista che l’aveva accompagnato andarono via, direttamente a Roma, padre Angelico e io rientrammo per fatti nostri». Qualche tempo dopo, Valentino Gambi, allora direttore generale del Gruppo San Paolo, andò a sua volta da san Pio e si sentì dire: «Non dimenticarti, figliolo, che stai alla scuola di un santo». E rivolto al confratello che lo accompagnava, spesso autista di don Alberione, aggiunse: «Non ammazzarmelo quel santone! Quante cose egli vuole ancora fare per Gesù e per le anime servendosi dei mezzi più efficaci per portare il Vangelo in ogni angolo del mondo. Seguitelo in tutto, in tutto, senza stancarvi mai! Te ne prego, figliolo, te ne prego». Gambi, di rientro a Roma, provò a riferire il tutto a don Alberione, ma lui gli impedì di proseguire il discorso.
«Vede che i santi parlano poco?», sorrise padre Teodorico, al quale riferiamo di quest’altra testimonianza. Lui porta nel cuore tanti bei ricordi su san Pio. Il più forte? «Finita la Seconda guerra mondiale, io ero missionario in Eritrea e tutti gli italiani furono scacciati da lì. Io venni destinato ad andare in Bolivia, ma non volevo partire, l’altura rendeva problematico addirittura il semplice cammino, figurarsi costruire un convento e delle strutture annesse. Andai quindi da Padre Pio. Lui mi vide: “Guagliò, non confesso i monaci io!”. Per tre volte mi oppose questo rifiuto. Poi gli dissi che non volevo partire per la Bolivia e lui, non so come, mi fece cambiare idea. Andai via da San Giovanni che non vedevo l’ora di partire!».