La rivista il Mulino compie sessant’anni. A spegnere le candeline e a tracciarne la storia, il presente e il possibile futuro nelle mutate condizioni politiche di questi anni si sono incontrati al Salone del Libro di Torino, il direttore della rivista Piero Ignazi, professore di Scienza politica all’Università di Bologna, lo storico Carlo Galli, il giurista Valerio Onida e il filosofo Massimo Cacciari.
«Da 60 anni la rivista non ha mai conosciuto interruzioni», ha detto con orgoglio Ignazi aprendo il dibattito: «Un vero record per una rivista». Il Mulino nasce nel ‘51 da un gruppo di studenti universitari che aveva vissuto insieme la fine della guerra e, incuriositi dall’aprirsi di nuovi orizzonti nella storia, decidono di stampare una rivista che diventa da subito un mensile. «La nota peculiare è che si trattava di un gruppo di persone di diversa provenienza politica, e quindi con alcune divergenze anche forti, ma dotate di ideali comuni e questo ha permesso una notevole continuità della rivista», ha aggiunto Ignazi. Il politologo ha poi ricordato che alle discussioni del gruppo, che avvenivano in un ambiente neutro per stemperare l’atmosfera, cioè alcune osterie di Bologna, partecipavano spesso come uditori personaggi del calibro di Aldo Moro, Dossetti, La Malfa e in rare occasioni persino un anziano Benedetto Croce. Il Mulino si orientò da subito al centrismo ma fu aperto ai valori del centro-sinistra e “andrà al governo” con la presidenza del Consiglio di Romano Prodi, sostenitore da sempre della rivista, nel 1996.
Carlo Galli, dal canto suo, ha ricordato che «il Mulino è stato uno degli episodi più importanti di quella organizzazione della vita civile e politica che si chiama democrazia». «I fondatori erano giovanissimi, con una grande capacità di orientarsi nella politica e nella cultura, cosa per niente scontata e permessa dal loro contatto con le produzioni scientifiche straniere». «Il mondo cattolico», ha aggiunto lo studioso, «che sembrava il più ostile verso le scienze umane, si dotava così degli strumenti della sociologia». «L’idea di fondo che dominava questo progetto editoriale, e che è stato tipico della Prima Repubblica, era dato da un rapporto tra politica e cultura mediato dall’opinione pubblica, dove le idee elaborate nei pensatoi come Il Mulino erano sottoposte poi al vaglio politico del popolo. Una speranza già tramontata ai tempi di Romano Prodi», ha aggiunto mestamente Galli. «È ancora valida una rivista?», si è poi chiesto. La risposta è stata negativa: «Non è neppure la fionda di Davide di fronte alle televisioni e il problema oggi è il populismo».
Valerio Onida ha invece indicato nella ragione, nel dialogo e nel pragmatismo le caratteristiche essenziali della rivista bolognese, che si è fatta negli anni promotrice di una politica fondata su un pensiero che si fa dialogo, su un concetto di politica basato su una sana “contaminazione” e su un positivo pragmatismo: «La politica non ha bisogno di dogmatismi», ha concluso l’ex presidente della Corte costituzionale.
Massimo Cacciari vede invece nel Mulino una «critica permanente a ogni forma di apriorismo ideologico» e nel «principio dell’analisi il fondamento dell’azione politica della rivista stessa». Ma si è dichiarato scettico sul fatto che la politica possa essere dialogica per evitare conflitti: «Bella idea ma troppo idealista». Guardando alla realtà di oggi il filosofo veneziano, a partire da alcune domande («Perché oggi il dialogo è fallito, perché chi vince oggi le elezioni lo fa con i voti anticomunisti, perché si parla ancora di contrasto tra laici e cattolici, perché la distanza tra Nord e Sud? Le fratture sono rimaste, anzi si sono trasformate in peggio in questi decenni»), ha aggiunto che «le idee del Mulino sono mature ma non hanno mantenuto le promesse: di fronte al populismo la risposta del Mulino non è sufficiente». «Questo lavoro», ha concluso Cacciari, «può avere futuro solo con riforme radicali, proposte da soggetti culturali e politici. Ma sono pessimista: in Italia è venuta a mancare l’unico soggetto che poteva riformare lo Stato, la classe borghese in senso alto».