Caro don Antonio, sono una donna di mezza età, credente e (per ora) praticante. Dico “per ora” perché nella Chiesa cattolica mi sento invisibile, un fantasma, in quanto appartengo a una categoria di persone che alla Chiesa sembra proprio non interessare: i single.
Ho sempre partecipato alla Messa domenicale e ci sono spesso preghiere per la famiglia, la coppia, gli sposi, i fidanzati…. ma per i single mai. In circa 50 anni solo una volta li ho sentiti menzionare nella Preghiera dei fedeli, un evento talmente eccezionale che ricordo benissimo dov’ero, in vacanza in Inghilterra. Per noi non ci sono iniziative pastorali, gruppi parrocchiali o di preghiera, non veniamo mai menzionati in un’omelia… invisibili, fantasmi. Quando ci si ricorda di noi lo si fa sempre con una connotazione negativa. Penso al famoso «siate madri e non zitelle» rivolto alle suore, oppure al più recente «se non ci fosse la famiglia avremmo una Chiesa di statue, di persone sole», dove siamo stati accomunati a oggetti senza cuore né cervello.
Il Sinodo dei giovani sembrava essersi accorto di noi, ma in che modo? Un paragrafetto di due righe nel documento preliminare: “L’inedita questione dei single”. Inedita? Ma in che mondo vivono i nostri pastori? I single sono sempre esistiti, solo che una volta li si chiamava scapoli e zitelle (ma ci sono anche i divorziati non risposati). E poi... “questione”? I single sono visti come un problema, come un “bug nel sistema”, come persone che non dovrebbero esistere, mentre sono solo fratelli e sorelle che non vivono in coppia, alcuni per scelta, altri perché le vicende della vita li hanno portati a questo. È forse un crimine, un peccato?
Anche la recente esortazione di papa Francesco su un “catecumenato permanente” per la coppia lascia l’amaro in bocca. Perché sempre e solo la coppia? I single possono anche andarsene (letteralmente) all’inferno, alla Chiesa la cura pastorale per loro non interessa.
Mi scuso per i toni un po’ accesi, ma è perché amo la Chiesa e vorrei sentirla come una grande famiglia in cui anche noi single siamo accolti come figli e fratelli. Spero che qualcuno dei tanti sacerdoti (e magari qualche vescovo?) legga questa lettera, rifletta e si renda conto che ci siamo anche noi e non ci può lasciare sempre ai margini come pecore senza pastore.
MATILDE G.
Cara Matilde, la tua lettera mette in luce una realtà che spesso rimane sotto traccia. Nel momento in cui stiamo chiudendo questo numero di Famiglia Cristiana (venerdì 26 ottobre) il Sinodo dei vescovi non si è ancora concluso, ma spero che il riferimento ai single sia rimasto. L’Instrumentum laboris chiedeva di riflettere sui single «visto il loro aumento numerico nella Chiesa e nel mondo». Forse i vescovi si sono accorti un po’ tardi della vostra esistenza, cara Matilde, e per questo parlano di «inedita condizione», ma direi che questo interessamento sia comunque positivo. Se devo essere sincero, tuttavia, mi sembra che la tua lettera non abbia solo «toni un po’ accesi», ma nasconda una sorta di invidia immotivata (benché comprensibile) nei confronti della famiglia, delle coppie, dei fidanzati... Questo genere di confronto penso che andrebbe evitato.
Ma allora voi single siete destinati a rimanere ai margini della vita ecclesiale? O a essere addirittura esclusi? No di certo, anche perché capita spesso che la vita parrocchiale faccia leva proprio su chi, vivendo da solo e quindi non avendo un marito o una moglie o figli di cui occuparsi, sembra avere più tempo da mettere a disposizione della comunità. Penso che sia giusto, comunque, considerare la vostra esistenza in quanto tali, e il vostro diritto alla cura pastorale. È qualcosa ancora tutto da inventare, ma su cui riflettere attentamente.
C’è però un problema di fondo: i single non sono una categoria dai contorni molto netti. Infatti, si può esserlo per sempre o solo per un breve periodo, in attesa di trovare l’anima gemella o di capire se il Signore desidera una speciale consacrazione in un istituto religioso; ci sono poi single diventati tali dopo una storia andata male e single per scelta. È difficile offrire catechesi, incontri, cure pastorali specifiche per una realtà così fluida. A mio parere, però, una soluzione di fondo esiste già. Dio infatti ci ha chiamato prima di tutto alla vita e poi a essere cristiani mediante il Battesimo. Su questo si innestano le vocazioni particolari al matrimonio, al sacerdozio, alla vita consacrata. Quello che però ci accomuna tutti, e include anche i single, è la chiamata a essere santi nella condizione di vita in cui ci troviamo, facendo della nostra vita un dono, una manifestazione dell’amore di Dio, una concretizzazione delle beatitudini.
Prima di tutto siamo cristiani e la maggior parte delle catechesi, degli incontri, delle sollecitudini pastorali sono rivolte a tutti indistintamente, non solo a qualche categoria. Allo stesso modo, nessuno deve sentirsi escluso perché non è sposato o non appartiene a una comunità religiosa o non è un consacrato secolare (che vive cioè da solo a casa propria). Siamo tutti cristiani, battezzati, santi per vocazione. Tutti siamo invitati a partecipare alla vita della comunità e a testimoniare il nostro essere di Cristo dovunque siamo, negli incontri con gli altri, nei luoghi di lavoro o di svago. Dunque, cara Matilde, forse non è necessario creare un nuovo settore pastorale per i single. Ciò che conta per noi cristiani è seguire Gesù e per questo il Battesimo (con la Cresima e l’Eucaristia) è più che sufficiente.