Prima di consentire
l’uso di un videogioco è importante conoscere l’età consigliata indicata in
copertina. Molti adolescenti e bambini oggi giocano con opere destinate ai
maggiori di 18 anni, e questo non è opportuno, tantomeno se i giochi vengono
facilmente “scaricati” da internet.
Anche nel caso in cui il gioco sia consigliato per l’età del
figlio, i genitori dovrebbero conoscerne il clima, se non i contenuti: parecchi
giochi obbediscono a visioni del mondo e diffondono modelli che potrebbero non
coincidere con i propri.
Quel che non dovrebbe mai accadere, a nessuna età, è che i
videogiochi vengano usati come “area di parcheggio”.
Mentre giocano i figli
sono silenziosi, ma non è una buona ragione per lasciarglielo fare senza
limiti. Al contrario, quello del limite è forse il principale insegnamento che
si può impartire: con l’esempio in proprio (papà e mamma non razzolano male),
ma anche con suggerimenti e con decisioni nette. Non è ovviamente soltanto una
questione di videogiochi, ma di un equilibrio complessivo fra tutte le
attività della giornata: anche leggere
per troppe ore al giorno può essere dannoso, se significa isolarsi e non avere
amici. E quindi: tempi ben definiti, no ai pomeriggi interi davanti allo
schermo e al controller.
I videogiochi fanno bene o male? Non si può fare di ogni
erba un fascio: così come i film e i libri, i giochi vanno valutati uno per
uno.
Sono convinto che, se si rispettano i criteri elencati, i videogame sono
strumenti notevoli per immergersi in mondi e in storie. Parlano un linguaggio
interattivo che è tipico dell’era digitale e sollecita la partecipazione,
trasformando il percorso di apprendimento nell’esplorazione di un territorio. I
nuovi terminali a schermo tattile, diffusi in smartphone e tablet, hanno reso
facile apprendere questo linguaggio fin dall’età più tenera. Ci sono opere pensate
per aiutare l’apprendimento, così come per sollecitare la cooperazione: giocare
insieme è una grande esperienza nel mondo digitale come in quello fisico.
In conclusione, per papà e mamma il principe dei criteri è
quello di sempre: fare la fatica di essere presenti, di voler capire,
accompagnare i figli in qualsiasi esplorazione, aiutarli a stabilire e – quando
è il caso – a oltrepassare i confini.