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giovedì 28 settembre 2023
 
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«I vitigni? Bisogna impiantarli sempre più in alto», l'allarme di Carlin Petrini

07/06/2023  A causa del cambiamento climatico si spostano le vigne in terreni che parevano inimmaginabili. «È opportuno mobilitare la gente perché l’assenza della politica, che determina alcune scelte, sta diventando gravissima. La questione ambientale è la prima da mettere in agenda, non discutere se fare la repubblica presidenziale»

Carlin Petrini.
Carlin Petrini.

«Il cambio climatico sta generando spostamenti di colture. Oggi si produce vino sempre più a nord, fino a raggiungere l’Inghilterra. Basta guardare cosa accade nella mia Langa: i vigneti dalle zone del basso Piemonte si stanno spostando in Alta Langa dove un tempo c’erano solo pecore e noccioleti. In Sicilia si stanno piantando frutti tropicali. Questo è un problema, perché le colture hanno insediamenti centenari, si sono sviluppate in un determinato modo e con una precisa qualità nei territori, motivo per cui diventa molto difficile replicarle altrove». Carlin Petrini, fondatore di Slow Food, ci parla di una tendenza inquietante: l’innalzamento della latitudine delle vigne per via del cambiamento climatico.

Se guardiamo i dati, dall’epoca preindustriale a oggi la temperatura media globale si è alzata di circa un grado centigrado. Il cambiamento del clima terrestre, per effetto del riscaldamento globale è caratterizzato da un crescendo di periodi siccitosi, grandinate anomale e improvvise, venti di forza eccessiva, nubifragi. E mancanza di acqua. Con la conseguenza che le vendemmie sono anticipate e viti e ulivi si spostano sempre più in alta quota, in zone nuove, montane. Un cambio di altitudine ma anche di latitudine. Con la presenza della vite anche sui 1200 metri di altezza, come in provincia di Aosta, dove si coltiva l’uva per il Blanc de Morgex de La Salle. Sulle Alpi in provincia di Sondrio si trova l’ultima frontiera a nord dell’olio d’oliva italiano, oltre il quarantaseiesimo parallelo. Il cambiamento climatico non influisce solo sul territorio ma modificherà anche il vino e i suoi sentori. Cambiando la vegetazione, il terreno e gli agenti atmosferici, cambieranno i profumi, il colore e la corposità del vino stesso (con un impatto non secondario sui costi). Un nutamento epocale se pensiamo che a questo quadro si aggiunge che nel 2050 si registreranno 150 milioni di migranti climatici.

Una sfida difficile quella del global warming per la viticoltura, ma che non ci deve scoraggiare, come dice Carlo Petrini nel suo nuovo saggio Il gusto di cambiare, la transizione ecologica come via per la felicità (Lev editore). Anzi, i cambi di paradigma di questa fase storica vanno affrontati con coraggio, con una presa di coscienza che prima di tutto è politica, con una maggiore attenzione agli impatti delle attività umane nei confronti dell’ambiente. «Servono nuovi modi di produrre, di viaggiare, di consumare. Tutto questo ha un gusto, che non è quello della mortificazione ma della liberazione. C’è un gusto nel cambiamento che è positivo e va affrontato con gioia. Il titolo sollecita alla transizione ecologica come via verso la felicità, mentre fino ad ora la narrazione è stata completamente diversa, sulla falsariga ‘abbiamo goduto, ora bisogna tirare la cinghia’. Non è così. Il cambio può solo portarci benessere, dare un senso alla nostra esistenza e va vissuto con questo spirito», spiega Carlo Petrini.

E la vite? L’innalzamento delle temperature porta ad una accelerazione della maturazione tecnologica delle uve che non è seguita da una maturità fenologica e aromatica. Questo può compromettere la qualità del vino. I picchi di calore oltre i 35° che si sono verificati nelle ultime estati portano a una abbondante formazione di zuccheri a discapito dell’acidità nei grappoli, acidità che in un vino è fondamentale perché dona freschezza e ne favorisce la conservazione. La conseguenza è il costante anticipo della vendemmia per preservarla. L’aumento delle temperature anche di notte determina una degradazione dei fenoli, come gli antociani, e delle componenti aromatiche presenti nelle bucce. A complicare il quadro la mancanza di acqua, che se eccessiva porta la pianta a una produzione di bassa qualità.

Le Langhe, quella terra descritta, seppur con le dovute diversità, da Beppe Fenoglio e Cesare Pavese, tornano più volte nel discorso. “La cosa che mi ha sconcertato maggiormente è che qui nelle mie Langhe ci sia molta preoccupazione perché la siccità rischia di compromettere le radici della vite che non  trovano più acqua. Mentre prima questa era la specificità della vite, nel senso che con le nevicate l’acqua si sedimentava negli strati profondi del terreno e la vite andava a pescarla nel momento di maggior intensità di calore, vale a dire nei mesi di agosto e settembre. Si generavano così più zuccheri e un buon grado alcolico, ciò nondimento le piante con l’acqua mantenevano un loro vigore nonostante il caldo. Lo dico in punta di piedi, ma pare che questo cambio climatico sia ormai irreversibile”, continua Petrini.

I portainnesti tolleranti agli stress idrici e alle temperature elevate possono essere una valida soluzione? «C’è uno studio importante in tal senso, ma la vera domanda è quanta biodiversità perderemo. È evidente che possiamo trovare nuovi innesti e nuove soluzioni agronomiche, ma se poi perdiamo alcune varietà di uva? Le nuove aree saranno molto probabilmente produttive, ma bisogna vedere quale sarà la composizione del suolo». Biodiversità che in Italia è un tema importante perché oltre il 70% delle 615 varietà iscritte al registro nazionale sono autoctone.

«È opportuno mobilitare la gente perché l’assenza della politica, che determina alcune scelte, sta diventando gravissima. La questione ambientale è la prima da mettere in agenda, non discutere se fare la repubblica presidenziale».

 

 
 
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