«Tempo è cervello», hanno ripetuto come un mantra i medici della Società italiana di Neurologia. Riuniti nella VI edizione della Settimana mondiale del cervello hanno sottolineato quanto sia fondamentale intervenire al più presto possibile quando si verifica un ictus (lesione cerebrovascolare causata dall’interruzione del flusso di sangue al cervello dovuta all’ostruzione o alla rottura di un’arteria) per salvare la vita di chi ne è colpito e ridurne i danni. «La trombolisi sistemica farmacologica, questo il nome della terapia capace di sciogliere il trombo appena formato, si è dimostrata molto efficace, ma deve essere praticata entro quattro ore e mezzo dalla comparsa dei sintomi», spiega Elio Clemente Agostoni, direttore del Dipartimento Neuroscienze, di Neurologia e Stroke unit dell’Ospedale Niguarda di Milano. Inoltre, da circa un anno è stata introdotta una nuova efficace procedura, la trombectomia meccanica, ovvero l’aspirazione o la rimozione del trombo dalla circolazione attraverso microcateteri e altri piccolissimi strumenti. «Se viene utilizzata questa seconda terapia, spesso in associazione alla prima, la finestra di tempo si può allungare fino a 8 ore». È quindi molto importante riconoscere da subito i sintomi di un ictus (che può essere di tipo ischemico, nell’80 per cento dei casi, oppure emorragico), per chiamare immediatamente il 118 che trasporterà il paziente alla Stroke Unit (il reparto specializzato) dell’ospedale più vicino.
Non è difficile accorgersi della comparsa di segni neurologici caratteristici, di tipo motorio o sensitivo: «I primi possono essere: paralisi di uno o di entrambi gli arti superiori, paresi di diverse graduazioni, deficit motorio, l’incapacità di parlare correttamente o di non comprendere ciò che viene detto, mentre a livello sensitivo può verificarsi la perdita di sensibilità da un lato del corpo. In particolare, se al malato si fanno alzare entrambe le braccia, si nota la differenza di movimento fra le due, se gli si chiede di sorridere si nota l’asimmetria della bocca».
Il professor Agostoni definisce l’ictus come «un problema di salute pubblica». Si tratta infatti della seconda causa di morte a livello mondiale e della terza nei Paesi industrializzati dopo le malattie cardiovascolari e i tumori, per questo è bene conoscere i fattori di rischio. «Se parliamo dell’ischemia i principali sono l’ipertensione arteriosa, la fibrillazione atriale (aritmia cardiaca che colpisce frequentemente le persone che superano i 60 anni e che è responsabile di embolie), e il diabete. Poi ci sono l’ipercolesterolemia, le valvolopatie cardiache e l’obesità. Per quanto riguarda l’emorragia cerebrale, occorre prestare cura all’ipertensione arteriosa. I disturbi della coagulazione incidono in entrambi i casi: in genere sono legati a malattie genetiche o a sindromi più rare che si chiamano “da anticorpi antifosfolipidi”, che condensano eccessivamente il sangue, facilitando la formazione di trombi. Chi segue una terapia anticoagulante può essere a rischio di emorragia cerebrale proprio a causa di questi farmaci».
La prevenzione è fondamentale. Quella primaria riguarda tutta la popolazione e in particolare i soggetti a maggior rischio, anche a causa della familiarità. «È indispensabile fare movimento con regolarità: camminare almeno 40 minuti al giorno mantiene sotto controllo l’ipertensione arteriosa, il diabete, la sindrome metabolica. Bisogna mettersi in tuta e andare a camminare come se si dovesse assumere una medicina. L’alimentazione deve essere varia ed equilibrata, povera di grassi e di carni. La prevenzione secondaria riguarda le persone che hanno già avuto un attacco ischemico: devono assumere un antipiastrinico (l’aspirina) e le statine che, riducendo il colesterolo e con un potente effetto antinfiammatorio sulla parete arteriosa, sono in grado quindi di pulire la placca dell’arteria che chiude i vasi. In caso di embolia bisogna somministrare anticoagulanti orali, divisi in due tipi fondamentali: la tradizionale varfarina (Cumadin) oppure i nuovi anticoagulanti diretti che, a parità di efficacia, riducono le complicanze cerebrali».
Negli ultimi dieci anni sono stati fatti molti passi avanti nella riabilitazione: «Mentre in passato si pensava fosse necessario attendere che il paziente si stabilizzasse da un punto di vista neurologico, da qualche tempo si è capito che prima si comincia e migliore è l’esito. Si inizia la riabilitazione passiva per far alzare il malato il più presto possibile anche se ha dei deficit, riducendo così le complicanze provocate dalla permanenza a letto o dal rischio di infezioni, oltre a migliorare la plasticità del cervello. Aver compreso tutto questo ha rappresentato per noi medici una vera svolta».
QUELLE UNITÀ INDISPENSABILI
Unità ospedaliere specializzate nell’affrontare le emergenze di un ictus in atto che, da quando si sono diffuse in Italia, a partire dagli anni ’80, «sono state capaci di ridurre notevolmente la mortalità e la disabilità rispetto ai ricoverati in reparti normali di neurologia e di medicina, perché possono contare su un personale dedicato e appositamente formato. Sul territorio nazionale purtroppo non vi è un’omogenea distribuzione di Stroke Unit, ma soprattutto non vi è un profilo, di tecnologie, di strutture di professionisti di uguale capacità», spiega il professor Agostoni. «Solo alcune Stroke Unit sono in grado di offrire la combinazione fra trombolisi sistemica e trombectomia meccanica. In Lombardia, dove la situazione è positiva, solo 5/6 Stroke Unit sono in grado di applicare anche la seconda procedura 24 ore su 24. Se un paziente finisce in una Stroke Unit dove è disponibile solo la trombolisi, occorre trasportarlo in un una struttura di secondo livello, che può cioè fare anche la trombectomia, come il Niguarda. Occorre dunque identificare le aree da coprire, rafforzare con un aumento del personale, le strutture di secondo livello, e mantenere una rete efficiente con gli altri ospedali».
PREVENIRE A TAVOLA
Quest’anno la campagna di prevenzione dell’Associazione per la lotta contro l’ictus Alice Italia è incentrata sull’alimentazione. Studi scientifici hanno dimostrato come il consumo di olio d’oliva, di frutta (agrumi, mele e pere in particolare), verdura (soprattutto quella a foglia) e pesce azzurro possa ridurre l’ictus fino al 20 per cento. Per questo si consiglia di aumentare l’apporto individuale di frutta e verdura fino a 600 grammi al giorno, di mangiare con moderazione altri tipi di pesce e pollame, di ridurre latticini, carne rossa, dolci e vino. In sostanza si tratta di seguire la dieta mediterranea. Le regole di una sana alimentazione e di uno stile di vita corretto dovrebbero essere adottate fin da piccoli anche per evitare l’obesità infantile.