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lunedì 10 febbraio 2025
 
 

La poesia? Una staffetta fra visibile e invisibile

09/12/2013  Leggendo i versi di Ida Vallerugo, cerchiamo di capire qual è il compito e il significato di un linguaggio che può apparire enigmatico, ma è ricco di suggestioni e valori.

Ma di che cosa parla la poesia? E a chi porta notizie, di quale avvenimento? C’è una poesia nel libro di Ida Vallerugo, Stanza di confine (Crocetti Editore, pp. 152, euro 16,00), una poesia dettata quasi in sogno, che ce lo sussurra. Non a caso la prende a oggetto della sua prefazione un altro poeta friulano, Pierluigi Cappello, presentando al lettore la friulana Vallerugo. Dice così quella poesia (La notizia):

Correvo in sogno.
Portavo alla città in attesa la notizia della battaglia.
Io correvo nel petto di tutti.

Improvvisa la caduta. Lo smarrimento.
“Basta un respiro” mi dice l’ombra radiosa
china su di me, familiare. “Va’ ora”.

Non ricordo se abbiamo vinto o perso.
“È questa la notizia da portare”.

C’è una staffetta che corre da un luogo verso una comunità in attesa, una comunità intima, forse tutta interiore, anche se può essere in concreto riempita dagli uomini. Deve portare una notizia, custodita a fior di labbra. Ma cade, si ferma; e all’ombra che le appare per invitarla a compiere il suo tragitto, a far udire la sua voce, confessa sconsolata che non ricorda se la battaglia sia stata vinta oppure perduta.

La Vallerugo è una poetessa di destino, di vocazione: non una poetessa in laboratorio, ma una che si sceglie per vie intuitive e necessarie i suoi maestri: sono un pugno di nomi, un grumo di fedeltà. Tra questi c’è il dialettale Franco Loi (la Vallerugo ha scritto due libri di rilievo in friulano) e c’è Ritsos, il grande poeta neogreco del Novecento, che riprende e riscrive nei suoi versi acuminati la tradizione classica, reinventandola senza tradirla.

In essi la poetessa trova una consonanza severa e profonda, il sigillo di una parola che può essere profetica ma senza alcuna certezza preventiva,
portando notizie da un altrove mai veramente e pienamente svelabile. Tra il visibile e l’invisibile, i muri sono sottili: si odono voci, segnali di richiamo, accenni. I vivi e i morti, le nascite e le resurrezioni: come distinguere? Per questo la poesia, tremolando, senza sapere, parla e si fa ascoltare dai simili, dalle creature, dalla realtà che nel mistero trova il suo fondamento.

Le cose ammirate hanno un’eco profonda, remota. Tutto ciò che è evidente, in piena luce, come l’alunno Alfonso (la Vallerugo è stata a lungo maestra elementare) sono anche misteriose, segrete, rimandano a significati estremi. Leggiamo:

[…]
C’è dunque il tempo a Rive d’Arcano
e si vive e si muore seguendo il frutto
il fiore. E per l’arcano porte e fessure.

E ci sono i primi e gli ultimi. Alfonso,
sette anni, che nome per un bambino, all’alba
lavora il campo, poi in fondo all’aula

a volte si addormenta. Ma se lo togli da là
se solo gli dai fiducia, come sale svelto
le scalinate delle ere, incespica, vola. Che zolle rare


apre nel petto se solo gliele smuovi.

[…]

Vaga parola, stanza di confine: quel che dice la poesia è un fiore chiuso, un germe, che poi spigherà.

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