«La scelta repubblicana» del 1946 va tradotta giorno dopo giorno «nell'esercizio quotidiano dei principi e dei valori costituzionali». Lo ha detto il Capo dello Stato, Sergio Mattarella. Spiegando così significato e attualità di una festa, quella del 2 giugno, che non ha nulla di retorico o di banale. E mantiene intatta una sua vitale attualità.
I VALORI IN GIOCO, OGGI
Stando all'agenda suggerita dal Presidente Mattarella, vanno difesi gli ideali che animarono i padri costituenti, attenti semmai all'evoluzione dettata dallo scorrere degli anni. Alla base di tutto, allora, accanto e al fianco della libertà e della democrazia, ecco «la coesione sociale e istituzionale» (contro ogni tentazione disgregatrice di natura populista, non citata ma ben visibile tra le righe) nonché «la sicurezza dei cittadini».
Uno dei modi per far andare bene le cose, osserva il Capo dello Stato riflettendo in vista del 2 giugno 2017, è curare «il presidio e il buon andamento delle amministrazioni locali, preservandole da ingerenze criminali, garanzia della dialettica democratica rispetto a possibili tentativi di intimidazione o condizionamento». Nel 1946 le mafie non erano così radicate e tentacolari. Oggi rappresentano un pericolo costante contro il quale (anche) il Quirinale non si stanca di alzare la voce.
«Vanno, poi, riaffermati con forza i principi di uguaglianza e pari opportunità contro ogni discriminazione e per la difesa dei diritti delle donne, dei minori e delle persone svantaggiate». Come a dire che non bisogna abbassare la guardia contro gli egosimi personali e collettivi che minacciano chi è più debole, chi è meno ricco, chi ha meno istruzione, chi ha un colore di pelle diverso. Festeggiare il 2 giugno vuol dire tenere a mente questi valori.
PATRIA
Dal 1946 ad oggi, il concetto di Patria è stato esteso oltre il semplice rimando ai nostri confini nazionali o ai nostri pur legittimi interessi economici. Si è gradualmente passati da un'idea esclusiva di territorio e di sviluppo a un'idea plurima che senza escludere i primi abbracciasse sempre più e sempre meglio le persone (e i loro diritti), specialmente le più svantaggiate, includendo «l'ambiente, il patrimonio culturale, storico e artistico», oltre le stesse istituzioni democratiche, il loro ordinamento, i valori e i princìpi costituzionali di solidarietà sociale (secondo la definizione dell'aprile 2006 dell'Ufficio per il Servizio civile nazionale, che recupera elementi riconosciuti dalla giurisprudenza costituzionale).
Sempre meno frontiere, per intenderci, e sempre più comunità di uomini, donne, bambini. Tale progressivo allargamento del significato di Patria (e di difesa della Patria) è il frutto di un lungo lavoro politico e sociale portato avanti da varie anime culturali attive nel nostro Paese, compresa quella cattolica (Giorgio La Pira, padre Ernesto Balducci, don Lorenzo Milani, il giurista e magistrato Rodolfo Venditti, monsignor Giovanni Nervo, don Giuseppe Pasini, giusto per citare dei nomi).
Una svolta storica recepita per la prima volta ad altissimo livello nella sentenza della Corte Costituzionale numero 164 del 24 maggio 1985, con la quale la Consulta ha affermato che il dovere di difesa della Patria è «ben suscettibile di adempimento attraverso la prestazione di adeguati comportamenti di impegno sociale non armato» e che «a determinate condizioni il servizio militare armato può essere sostituito con altre prestazioni personali di portata equivalente, riconducibili anch'esse all'idea di difesa della Patria».
PARATA
Non è un caso allora che a Roma, in via dei Fori imperiali, marci un numero crescente di civili. Molto è cambiato rispetto alla prima parata, svoltasi il 2 giugno 1948 (in quell'occasione, dopo la deposizione della corona d'alloro al Milite Ignoto, il presidente Luigi Einaudi assunse il comando delle Forze Armate). Non sempre fu a Roma, non sempre fu proprio il 2 giugno e non sempre fu parata. Nel 1961, ad esempio, in occasione del centenario dell'Unità d'Italia, la principale manifestazione (presente il presidente Gronchi) si svolse a Torino, prima capitale dell'Italia unita. L’edizione del 1963 fu spostata al 4 novembre a causa della scomparsa di papa Giovanni XXIII. La parata del 1976 fu sospesa, per il terribile terremoto che colpì il Friuli, e nel 1977 fu sostituita da una cerimonia celebrata in Piazza Venezia. Negli anni successivi, per contenere la spesa pubblica non si sfilò. Si ricominciò a farlo nel 1983, ma non ogni anno e non con le stesse modalità. Soltanto il 4 giugno 2000, per volontà del presidente Carlo Azeglio Ciampi, la sfilata militare è tornata a far parte delle celebrazioni della Festa della Repubblica. E, come già detto, ha visto crescere man mano la componente "civile".
Così fino ad oggi. Non senza qualche polemica. La locandina ufficiale di quest'anno, ad esempio, "firmata" dal ministero della Difesa, pubblica un gruppo di sindaci che sfilano, cosa che ha fatto arrabbiare molti militari i quali si sono sfogati sui social: «E’ vero che la Difesa vuole distinguere il 2 giugno dalla Festa delle Forze armate che ricorre il 4 novembre. Ma poi, in autunno, non fa nulla per ringraziare chi mette la sua vita a disposizione della Patria». Un fatto è certo. Lungo i Fori imperiali, banditi da tempo i mezzi più offensivi (carri armati e missili) sono impegnati sempre meno fanti, alpini, bersaglieri, marinai e aviatori e sempre più appartenenti a corpi non armati, rappresentanti delle istituzioni, come i sindaci, e - accade da un decennio - anche gruppi di giovani in servizio civile. Appunto perchè è la Festa della Repubblica. Tutta. Di tutti. Cosa che Andrea Bocelli vuole rendere ancor più evidente intonando e facendo l'inno nazionale.
PACE
Giova rileggere l'articolo 11 della Costituzione, che ancor oggi dice tutto. A tutti. «L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo».
Pace è una parola impegnativa, ma i nostri padri costituenti vollero pronunciarla perchè avevano ben presenti gli orrori della Seconda guerra mondiale, con i suoi milioni di morti. Lavoravano alla stesura della Carta fondamentale della nostra Repubblica mentre nelle nostre città cumuli di macerie erano ancora lì a testimoniare le distruzioni causate da bombardamenti e conflitti a fuoco. Ma, come hanno osservato in questi decenni molti esperti di diritto, pace non è solo rifiuto della guerra, un concetto vissuto in negativo. Nella nostra Costituzione è un'indicazione concreta e positiva. E' il modo in cui dev'essere organizzata la vita interna e la presenza dell'Italia nella comunità internazionale. Noi accettiamo limitazioni alla nostra sovrantià nazionale perché sia più facile raggiungere la pace, perché il metodo di risoluzione dei conflitti non sia quello violento. Pace è un'indicazione per le azioni presenti e future del nostro Paese.