Esattamente 7 mesi fa, intorno a quest’ora, Giulio Regeni stava per uscire di casa. Alle 19,40 del 25 gennaio ricevette l’ultima telefonata. Dalle 20,25 il suo telefono risultò non più raggiungibile. Sono già passati 7 mesi dalla sua scomparsa. E non sappiamo ancora nulla di chi e perché lo ha sequestrato, torturato e ucciso.
La famiglia continua a chiedere verità, ma pare che invece il governo italiano ne abbia sempre meno voglia. È bene allora ricordare. Ricordare cos’è accaduto a un giovane italiano di 28 anni; ricordare alle nostre istituzioni che l’opinione pubblica italiana non ha dimenticato, anzi, vuole insieme ai genitori Paola e Claudio Regeni sapere chi sono i responsabili di quella barbarie.
Pochi giorni fa il presidente egiziano Al Sisi ha dichiarato in una conferenza stampa riportata dal quotidiano egiziano El Watan che «vi è collaborazione» tra gli investigatori dei due Paesi e che «gli sforzi investigativi sul caso sono tuttora in corso».
La reazione del nostro governo? Nessuna. Silenzio. Hanno dovuto intervenire papà e mamma Regeni per precisare che non è così: «Non capiamo a quali dichiarazioni positive faccia riferimento Al Sisi né a quale solidarietà alluda, atteso che ad oggi le indagini sono ancora in una fase di stallo e nessuna risposta concreta ci è stata fornita dalle autorità egiziane».
Luigi Manconi con i genitori di Giulio.
E infatti l’ultimo “sforzo investigativo” degli inquirenti egiziani è stato l’ennesimo recente “no” alle richieste dei magistrati italiani di poter avere alcuni tabulati telefonici e le immagini di alcune telecamere a circuito chiuso.
L’unica voce istituzionale che si è levata a sottolineare il silenzio del nostro governo sulle affermazioni di Al Sisi è stata ancora una volta quella di Luigi Manconi, presidente della Commissione Diritti Umani del Senato, dai microfoni di Radio 24. Non solo. Manconi ha ricordato che la sorte toccata a Regeni è quella di centinaia di oppositori egiziani.
«La solidarietà il presidente Al Sisi la dimostri coi fatti, non con le parole», hanno concluso Paola e Claudio Regeni. Vorremmo, almeno, che il nostro esecutivo facesse proprie queste parole.