«Cominciò a farmi un massaggio alle spalle per poi scendere e toccarmi il seno e la pancia fino al pube. Mentre il molestatore agiva, i colleghi chiesero se avessimo finito, ma non aprirono la porta».
«Mi è stato detto “noi solitamente assumiamo uomini perché voi donne appena entrate in un’azienda con contratto indeterminato vi sposate e vi mettete in maternità».
«Il mio capo mi diceva spesso che non avrei mai ricevuto una promozione perché indossavo gonne aderenti in ufficio e non realizzavo quanto "fossi sexy"».
Sono alcune delle testimonianze, raccapriccianti, raccolte nel rapporto Non staremo al nostro posto. Per il diritto a un lavoro libero da molestie e violenze, che WeWorld – organizzazione italiana indipendente impegnata a garantire i diritti di donne e bambini in oltre 25 Paesi, tra cui l’Italia – presenta in occasione della Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Il rapporto, che si basa sul sondaggio condotto da Ipsos su molestie e violenze sul lavoro, e raccoglie 140 testimonianze anonime di donne e uomini, affronta un tema quanto mai urgente: garantire luoghi di lavoro sicuri e rispettosi della dignità di tutte le persone è infatti una questione di diritti umani e giustizia sociale.
Dalle molestie sessuali al linguaggio sessista e discriminatorio, sono ancora troppi in Italia gli episodi di violenza e molestie sul posto di lavoro subite ogni giorno da lavoratrici e lavoratori. «Le molestie sul lavoro sono una delle tante manifestazioni del patriarcato», commenta Martina Albini, coordinatrice del Centro Studi di WeWorld. «Negli ultimi decenni, il diritto a condizioni di lavoro sicure e dignitose è stato indebolito da politiche che hanno ridotto il potere sindacale, incentivato la riduzione del personale e favorito la delocalizzazione, creando una vulnerabilità diffusa che spinge molte persone ad accettare condizioni di lavoro difficili, mettendo in secondo piano i propri diritti e subendo maltrattamenti, discriminazioni e molestie. È fondamentale mettere apertamente in discussione le dinamiche di prevaricazione alla base di questi abusi e lavorare per costruire ambienti di lavoro sicuri e rispettosi per tutte e tutti: un diritto umano fondamentale».
Il sondaggio di opinione, realizzato da WeWorld in collaborazione con Ipsos su un campione di 1.100 lavoratori e lavoratrici tra i 20 e i 64 anni, offre poi uno sguardo concreto e attuale sul fenomeno, in cui si riflettono le tante testimonianze di persone provenienti da diversi contesti sociali, a conferma della natura trasversale del problema. Gli abusi sul posto di lavoro possono essere di diversa natura: fisici (come schiaffi o aggressioni), psicologici (insulti, emarginazioni), sessuali (avance indesiderate, ricatti) o economici (ostacoli alla crescita professionale). Secondo il campione intervistato, le forme di violenza più diffuse sono la violenza verbale (56%), al secondo posto il mobbing (53%) e al terzo posto, distaccato, l’abuso di potere (37%). Chiudono violenza fisica (10%), stalking (6%) e violenza online (2%). Le molestie sessuali sono percepite come la forma di violenza più grave dal 52% del campione, seguite dal mobbing (37%) e dalla violenza fisica (34%), e la percezione è che le donne subiscono maggiormente quasi tutte le forme di violenza rispetto agli uomini, a eccezione della violenza fisica e del bullismo. Ancora, il 60% di lavoratori e lavoratrici è a conoscenza di episodi di violenza avvenuti sul proprio luogo di lavoro, il 42% degli intervistati ha assistito oppure subito a episodi di violenza sul posto di lavoro e il 22% ha subito violenza sul posto di lavoro almeno una volta nella vita. Tra le donne il dato sale al 28%.
Gli autori delle violenze sul lavoro? Sono soprattutto capi (42%) o colleghi uomini (35%), seguiti da colleghe (22%) e cape donne (13%). In particolare, 1 donna su 2 (50%) tra quelle che hanno subito violenza sul luogo di lavoro indica il capo uomo come autore della violenza. Fra le conseguenze delle violenze sul lavoro, stress e ansia (56%). Subito dopo, il burnout è stato indicato dal 33%, seguito da diminuzione dell’autostima (30%), dimissioni (25%) e depressione (21%). Il 25% del campione intervistato ha dato le dimissioni dopo violenze sul lavoro, e il 14% è stata licenziata/o in seguito a violenze subite sul luogo di lavoro.
A fronte della difficoltà a denunciare - la ragione principale è la paura di perdere il lavoro (59%) - lavoratori e lavoratrici indicano l'istituzione di sanzioni per comportamenti violenti (37%), la gestione rapida e seria delle segnalazioni di violenza (37%) e la possibilità di denunciare tramite linee di segnalazione anonime (32%).
Ecco quindi alcune proposte di Weworld, mirate sul contesto italiano. Oltre a percorsi di formazione in tutte le aziende e alla promozione di campagne di sensibilizzazione multicanale rivolte all’intera popolazione, l’introduzione di curricula obbligatori di educazione alla sessualità e all’affettività nelle scuole di ogni ordine e grado. E, ancora, nell’ottica di riconoscere e monitorare il fenomeno, il perfezionamento della Certificazione della parità di genere, l’introduzione del reato di molestie sessuali in tutti gli ambiti, compreso il luogo di lavoro, e l’introduzione e perfezionamento di strumenti per la valutazione dei rischi. Occorre poi intervenire adottando un Codice di condotta che tuteli lavoratori e lavoratrici nei casi di violenze e molestie sul luogo di lavoro, identificando figure specializzate e meccanismi di ricorso adeguati, e istituendo programmi di supporto per chi ha subito o assistito a violenza.