Il 26 ottobre del 2007 Franz Jägerstätter è diventato beato, a riconoscere il suo martirio è stato Papa Benedetto XVI. Si oppose al regime, si rifiutò di combattere per l’esercito nazista. È quasi incredibile pensare che fosse originario del distretto di Braunau am Inn, in Alta Austria, dove diciassette anni prima era nato Adolf Hitler. Giochi di opposti, su cui il regista Terrence Malick costruisce il suo A Hidden Life, in concorso alla settantaduesima edizione del Festival di Cannes. Il suo è uno sguardo religioso, di comunione con lo spazio e la natura.
La fede di Jägerstätter si fonde con le montagne che circondano il suo paesino, con i campi e il duro lavoro dei contadini. Sembra di essere tornati a I giorni del cielo, ma con una spiritualità più accentuata. Delicati grandangoli abbracciano le vallate, la quotidianità agreste si mescola con i tormenti dell’anima. Qui Malick riprende le tematiche de La sottile linea rossa, si interroga sul significato della guerra, sull’importanza di credere. I soldati di Guadalcanal cercavano la libertà attraverso i fucili, davano un senso all’esistenza con il sacrificio. Invece Jägerstätter condanna la violenza, la sua “arma” è la devozione a qualcosa di più alto. È saldo nelle idee, nei principi. Soffre, sceglie di non reagire alle torture, ai soprusi. Vacilla, è umano, ma poi ritrova l’equilibrio. Nonostante la gente lo guardi con disprezzo, e si scagli contro i suoi cari.
Nel film c’è una doppia linea narrativa: da una parte la moglie, i bambini costretti a crescere senza un padre, dall’altra il prigioniero, in attesa di essere di essere giudicato. Si torna a The Tree of Life, senza soffermarsi sull’origine dell’universo, ma sulle conseguenze delle azioni. A muovere il protagonista è la Grazia, la totale fiducia nella presenza di un ordine superiore. Quella che mancava al killer de La rabbia giovane, in viaggio senza meta, bistrattato fin dal principio.
Immagini del cielo, della terra, la voce interiore che ci accompagna fin dalle prime sequenze. Evitando gli eccessi di To the Wonder e Knight of Cups. Inizialmente il titolo avrebbe dovuto essere Radegund (la casa di Jägerstätter), poi cambiato in A Hidden Life (una vita nascosta). L’omaggio è al settimo e penultimo romanzo di George Eliot chiamato Middlemarch. Che ci ricorda che le bellezze del mondo le dobbiamo anche a chi agisce nell’ombra, resta in disparte, e si trasforma in un eroe quasi dimenticato.
La speranza è di alimentare la memoria, sfidare gli estremismi, sensibilizzare sull’oggi con la forza del passato. Chiudendo con il mistero quasi indecifrabile della morte, in un racconto sospeso tra epica e intimismo. Cinema non per tutti, ma splendido nella sua integrità, morale e artistica. Sul grande schermo per un’ultima volta c’è Bruno Ganz, nei panni del giudice che presiede il tribunale del Reich.