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domenica 16 marzo 2025
 
 

L'Italia vale più di una gita

29/09/2012  Ingresso libero nei luoghi d'arte oggi e domani per la Giornata europea del patrimonio. Ma una ricerca conferma che lo usiamo solo per il turismo, senza una visione strategica.

Si celebra oggi e domani la Giornata europea del patrimonio. L'Italia, insieme ad altri 49 Stati europei, aderisce con lo slogan "L'Italia tesoro d'Europa". Una ghiotta occasione per i cittadini per visitare gratuitamente luoghi d'arte, monumenti, musei (tutte le strutture statali, ma anche alcune istituzioni private hanno aderito). L'iniziativa vuole avvicinare le popolazioni ai beni culturali, archeologici, architettonici, artistici del loro Paese, ma anche invitarli a scoprire le ricchezze delle altre nazioni, favorendo la reciproca conoscenza e comprensione, al di là delle differenze linguistiche e di tradizioni.

Per l'Italia l'evento assume tuttavia anche un'altra connotazione: pur possedendo il più grande patrimonio culturale del mondo, il nostro Paese non si è sin qui mostrato capace né di tutelarlo né tantomeno di promuoverlo e farne un motore economico. L'ennesima conferma di questa triste realtà viene da uno studio realizzato per la Commissione Ue dalla Rete di esperti culturali europei (Eenc), da cui emerge un chiaro monito: cambiare strada ora o mai più, perchè dopo potrebbe essere troppo tardi.

All'Italia difetta una visione coerente per mettere a frutto le richezze di cui la storia l'ha dotata, considerandole semplice volano per il turismo. Con il doppio rischio di vederle presto «spazzato via» tra tagli e mancanza di politiche adeguate, e di perderle come strumento per uscire dalla crisi. Un processo, questo, che si riflette già nell'utilizzo dei fondi Ue, sfruttati dalle Regioni italiane più per il rafforzamento di servizi orientati al turismo che per la creazione di nuove infrastrutture culturali.

«In Italia, il potenziale economico della cultura è visto come ancillare al settore turistico», dove «il valore aggiunto legato alla cultura» è generalmente identificato solo «nell'impatto del turismo culturale», si legge nello studio realizzato da Pier Luigi Sacco, docente di Economia della cultura allo Iulm. Di conseguenza viene messa solo una «piccolissima enfasi sulla produzione culturale», a detrimento delle stesse città d'arte italiane, che diventano sempre più «parchi a tema senza vita culturale».

Una tendenza confermata anche dalle cifre: se l'Italia è il terzo paese Ue per utilizzo dei fondi strutturali in chiave culturale (dopo Cipro e Malta) e il secondo (dopo la Polonia) in termini assoluti, si scopre che la spesa è di oltre il 17% inferiore rispetto alla media Ue per lo sviluppo delle infrastrutture. Mentre segna un +19% rispetto agli altri Paesi per l'allocazione dei fondi nei servizi, legati al miglioramento dell'offerta turistica. «Uno degli esempi italiani di maggior successo» citati, è l'operazione di riconversione di Torino, da città industriale a polo di produzione culturale che ha saputo attirare non solo turisti, ma anche imprenditori e creativi. Genova, invece, non ha saputo sfruttare l'occasione di essere Città capitale della cultura Ue nel 2004, limitandosi a interventi di restauro del centro storico con poche ricadute al di fuori di quelle turistiche.

L'approccio italiano ai fondi Ue riflette questa «mancanza di visione strategica» (esempio «positivo» invece è la Toscana, per la sua programmazione a lungo respiro) e «tende» quindi a «premiare approcci poco innovativi». Ma, sottolinea il rapporto Ue, «se ci fosse un tentativo serio di dare alla cultura la sua giusta priorità nell'agenda politica», ci potrebbe essere una «reale possibilità» che questa dia un «contributo maggiore» alla crescita. E, si avverte, «nell'attuale congiuntura economica, è un'opportunità che si ha una volta nella vita». Ma la tendenza non sembra essere questa: dal 2001 al 2011 il Ministero per i beni culturali ha visto tagliate del 36,4% le sue risorse, mentre tra il 2008 e il 2011 la spesa delle città per la cultura è scesa del 35%. Un «trend molto pericoloso» che «rischia di spazzare via» l'intero settore, da cui potrebbe invece arrivare la rinascita economica del Paese.

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