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Il bio che vien per nuocere

16/10/2013  Una parola che, talvolta, nasconde un inganno: come nel caso dei carburanti, per rincorrere i quali, con una falsa utopia "verde", si sta impoverendo la terra

Cosa sarebbe accaduto se invece di gettarci nella disperata corsa al carburante "bio", che di naturale ha poco o nulla, utilizzando terreni agricoli europei li avessimo coltivati a mais e grano? "Semplicemente" non si sarebbero costrette alla fame 127 milioni di persone in un anno. Oxfam, per questo, ha lanciato la campagna "Coltiva", rendendo pubblici i dati del nuovo rapporto Bad Bio (in allegato) che spiega nel dettaglio come la produzione di biocarburanti abbia dei riflessi negativi sull'aumento dei prezzi alimentari lasciando senza cibo intere fette di popolazione a livello globale. 

«La normativa europea - si legge - richiede che entro il 2020 il 10% dell’energia per i trasporti provenga da fonti rinnovabili, col fine di rendere il settore più verde. Questo obiettivo è raggiungibile solo facendo affidamento su biocarburanti provenienti da colture destinate a fini alimentari - dichiara Elisa Bacciotti, responsabile della campagna Coltiva di Oxfam. - In questo modo l’Europa sta scatenando la corsa ai biocarburanti a livello mondiale, privando milioni di persone di cibo, terra e acqua. Per soddisfare la loro domanda di biocarburanti, i paesi UE devono importare da paesi extracomunitari notevoli quantità di materie prime o di prodotto raffinato, ricavate da terre che avrebbero potuto essere destinate alla produzione di cibo. Entro il 2020 l’Europa potrebbe avere bisogno di un quinto di tutto l’olio vegetale prodotto al mondo. L’Italia, ad esempio, ha importato nel 2009 il 49% delle materie prime utilizzate per l’energia del settore dei trasporti da paesi extra UE: una percentuale che nel 2010 è cresciuta al 60%».

Le conseguenze, dunque, da un lato sono malnutrizione e fame, dall'altro afruttamento e accaparramento di terra e acqua, distruzione di foreste, perdita di biodiversità e, in alcuni casi, non c'è nemmeno alcun risparmio di emissioni di anidride carbonica rispetto al petrolio. Il tempo delle bugie è terminato e attraverso la piattaforma change.org si sta diffondendo una petizione per chiedere ai Paesi dell'Unione Europea, Italia inclusa, un deciso cambio di rotta per tutelare i diritti umani e l'ambiente. Come? Attraverso alcune modifiche all'attuale normativa sui biocarburanti così da limitare al 5%, e via via azzerandolo, il consumo di quelli che comportano una riduzione di cibo, terra e acqua, come mais, soia e canna da zucchero. Miliardi su miliardi buttati al vento, anno dopo anno, in una falsa utopia verde che usa la sostenibilità come maschera per nascondere i disastri di un sistema che sta mettendo in ginocchio milioni di persone. Come Ceferina e Maria Inès che in Paraguay, hanno raccontato a Oxfam cosa significa vivere sulla propria pelle l'impossibilità di decidere del proprio destino.

«Viviamo circondati da un mare di soia. Case, scuole, interi villaggi sono stati circondati da campi di soia che occupano milioni di ettari. Nel mio paese nemmeno tanto, ma ce ne sono altri in cuinon rimane niente e nessuno, sono villaggi fantasma. La gente se ne va per timore di ammalarsi, perché non può più vivere di ciò che semina o perché non gli rimane altro che affittare o vendere la propria terra. Io ancora non so cosa fare. Mi chiedo, se vendo questi 5 ettari, che ne faccio dei soldi? Non sono abbastanza percomprarmi una casa in città! Per ora non ho altra scelta cherestare qui, anche se c’è sempre meno commercio e attività. Mi chiedo: a chi venderemo i nostri prodotti? Come faremo a guadagnare? Prima guadagnavamo con il raccolto del cotone, della manioca, ma ora nessuno può o vuole rischiare perciò se ne vanno, perché ci lasciano senza terra, senza lavoro, senza opportunità. La soia dà lavoro? Io posso dimostrare che non è vero. Portano attrezzature sofisticate per fare tutte ciò che serve. Una sola personacon un trattore gestisce oltre 100 ettari. E questo a chi dà lavoro? Nelle periferie povere delle città delParaguay ci sono persone in povertà, che vivono per strada, quelli sono tutti fratelli contadini che se ne sono andati e hanno venduto la loro terra pensando che avrebbero avuto una vita migliore in città. Vendere la nostra terra non è una soluzione. Abbiamo bisogno di terra, prezzi buoni, maggiori e migliori risorse. Se il governo desse anche solo il 10% del budget ai piccoli produttori agricoli che rimangono, chesono pochi, la nostra vita cambierebbe».

«Non ho mai pensato di andarmene e lasciare la terra. Sento le storie dei miei vicini, che si sono trasferiti nelle città e che vivonomale lì senza opportunità, senza futuro. Alcuni se ne vanno perché non riescono più a vendere i loro raccolti a buon prezzo, altri perché vendono la loro terra o la affittano per la coltivazione dellasoia, ma molti finiscono per tornare, anche se non hanno più nullaqui. Io non voglio fare la loro stessa fine. Io e la mia famiglia seminiamo abbastanza da mangiare e ciò che resta, lo vendiamo,quindi non abbiamo bisogno di molto denaro, solo quanto bastaper comprare carne, olio, riso, pasta e l’erba per il mate. Possiamo farlo perché abbiamo ancora terra, cosa rara per i contadini del mio paese. Ed è per questo motivo che facciamo di tutto per non perderla e proibire che nella mia comunità la si consegni per la coltivazione della soia. Quelli che coltivano la soia sono venuti ma ci siamo opposti a vendergli la terra, finora è stata una decisione privata di ciascuna famiglia, ora però con tutta la comunità ci stiamo organizzando per proibire la coltivazione della soia. Non vogliamo che ciò avvenga perché quella produzione utilizza molti agrochimici, ci riempie di veleno e se continua ad aumentare si arriverà al punto che non potremo più vivere qui perché inquinerà la nostra acqua, pregiudicherà la nostra salute, danneggerà le nostre coltivazioni e non ci darà mai lavoro. Io sogno che in futuro i nostri campi siano pieni di prodotti, di gente che li produca, recuperando le varietà tipiche locali che si stanno perdendo, sogno campi pieni di cibo, dove possiamo avere lavoro senza dover emigrare verso le città, conl'istruzione gratuita affinché i giovani possano studiare senza abbandonare il nostro lavoro contadino. Abbiamo diritto ad essere contadini e a vivere del lavoro della terra».

 
 
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